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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

martedì 12 maggio 2015

Gran Bretagna: ancora sul voto

Gran Bretagna al voto
Il ruggito dei vecchi leoni 
Gabriele Rosana
05/05/2015
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Due fugaci apparizioni a Downing Street, fagocitate dalle ingombranti ombre degli immediati predecessori.

Le parabole di John Major e Gordon Brown, gli eterni delfini assisi al numero 10 quando ormai divenuti marmoree cariatidi, si intrecciano anche oggi che lo scenario partitico è decisamente mutato e il bipolarismo britannico si mostra in tutta la sua precarietà, ostaggio delle consolidate sacche di consenso dei nazionalisti scozzesi e della avanzata eurofoba dell'Ukip di Nigel Farage, oligopolisti dell'agenda politica.

Major e Brown, a volte ritornano
Nell'arena di Sua Maestà, le due vecchie glorie sono inaspettatamente diventate mattatori della campagna elettorale più incerta della storia del Regno.

Dimenticata la fallimentare successione di autentici fuoriclasse della comunicazione politica (rispettivamente, Margaret Thatcher e Tony Blair), Major e Brown presidiano oggi ciascuno il proprio campo - l'uno quello conservatore, l'altro il laburista -, atteggiandosi a padri nobili della patria. Una patria, nelle parole di entrambi, da preservare dal pericolo di un nuovo collasso ad opera del revanchismo indipendentista.

Brown, in realtà, un exploit comunicativo lo aveva fatto registrare già lo scorso settembre, a poche ore dal referendum sulla secessione della Scozia, quando, su e giù per il palco di Glasgow, aveva rivolto un ultimo appello agli elettori a nome dell'eterogeneo fronte unionista al grido di "Better together".

Allora, la stampa britannica, mai troppo gentile con l'impacciato ex primo ministro, aveva parlato persino di appassionato discorso della vita da parte di Brown, che da glasgowiano rientra a pieno titolo nella vecchia generazione di laburisti scozzesi foraggiati dal granaio elettorale del nord, indispensabile propulsore dei trionfi della sinistra britannica (a nord del Vallo di Adriano, i Tories racimolano tradizionalmente ben pochi voti e, di conseguenza, seggi, nel sistema uninominale).

Quello stesso granaio che oggi è seriamente minacciato da una realtà ben consolidata nel panorama politico del Regno Unito, lo Scottish National Party (Snp) che - accreditato dai sondaggi fra i 35 e i 45 seggi (sui 59 in palio in Scozia) - potrebbe rivoluzionare l'assetto politico di Westminster, soffiando ai liberaldemocratici il terzo piazzamento e il ruolo di kingmaker, assestando l'ennesimo e ben più significativo colpo al bipartitismo di Londra.

Proprio quel ruolo aveva fatto di Nick Clegg e dei suoi l'ago della bilancia dopo le consultazioni del 2010, quando i libdem decisero di formare un governo di coalizione con i conservatori di David Cameron.

Oggi, una nuova e ben più grande alleanza potrebbe essere all'orizzonte; ma vedrebbe stavolta il fronte laburista di Ed Miliband - riguadagnato il profilo popolare e vicino alle Trade Unions mandato in soffitta dal new labour di fine Anni Novanta - tessere un accordo post-elettorale proprio con il demonizzato Snp della pasionaria first minister di Edimburgo Nicola Sturgeon (subentrata allo storico leader Alex Salmond, ritiratosi dopo il naufragio del referendum), in concorso con altri frammenti che guardano a sinistra, come i verdi e gli indipendentisti gallesi.

Flirt fra laburisti e scozzesi?
Una prospettiva non smentita dall'establishment laburista ma fatta subito oggetto di derisioni da parte della Sturgeon: benché più probabile, l'appoggio esterno caso per caso a un governo di minoranza potrebbe essere quanto mai logorante per il partito di Miliband.

Anzi, per dirla con sir Major, un’eventuale agenda di governo influenzata dall'Snp si tradurrebbe nel pretesto che i nazionalisti scozzesi attendono per riportare la secessione all'attualità del dibattito pubblico. Insomma, l'esito di settembre non sarebbe stato "the end of the matter for a generation", ma solo un passaggio obbligato di una strategia di più lungo orizzonte.

L'atmosfera dopo il responso delle urne che ha mantenuto in piedi il Regno, poco meno di otto mesi fa, insomma, non pare essersi rasserenata.

Le dure parole di Major contro il possibile accordo Labour-Snp all'insegna dell'aumento della spesa pubblica sono state bollate come pericolose per l'unione britannica da Miliband e disinnescate dall'interno della stessa fazione conservatrice (da Lord Michael Forsyth, che con Major era stato segretario di Stato per la Scozia).

"Fuori dall'Ue la nostra Nord Corea"
Ma se di referendum e di rinnovate chiamate alle urne si continua a parlare, l'altro convitato di pietra - stavolta a proiezione sovranazionale - è l'Ukip.

Molto meno radicato sul territorio dell'Snp, non riuscirà - complici i collegi uninominali - a tradurre in un cospicuo numero di scranni ai Comuni l'affermazione nazionale delle europee 2014. Ciò nondimeno, è un'aspra voce molto ascoltata nell'arena politica britannica e ha provocato lo smottamento anti-Ue del governo Cameron.

Il referendum sulla permanenza nell'Unione che - se rieletto - l'attuale primo ministro vuole indire entro il 2017 (preceduto, nei primi cento giorni di governo, da un rinegoziato fra Gran Bretagna e partner europei) rientra appieno in questa ottica.

Falsata, secondo il (nuovo) ruggito di Gordon Brown. L'"eroe" del no alla Scozia indipendente evidenzia oggi - quando la bistrattata Ue è trascinata nella fiera battaglia politica all'ombra di Westminster - come quello propugnato dai Tories sia in realtà un errore di prospettiva del tutto simile a quello proposto dall'Snp pochi mesi fa.

"Il referendum sull'indipendenza dell'anno scorso era stato trasformato dai nazionalisti in una scelta fra la Scozia e la Gran Bretagna (...), così convincendo migliaia di elettori che l'unico modo per dimostrarsi fieri e patriottici scozzesi fosse votare per il sì".

Un inganno che secondo l'ex premier il fronte anti-europeista stanno diffondendo oggi con riferimento all'Europa, propagandando una scelta ben più semplicistica ed emozionale: "Siete per la Gran Bretagna o per l'Europa?". Una contrapposizione fra "noi" e "loro", fra Juncker e la sua furia pro-Ue e Farage con il suo strenuo rifiuto del disegno euro-unitario in favore di una patriottica difesa del Regno Unito.

Il rischio, alto, è anche che gli europeisti combattano la battaglia con le armi sbagliate, cedendo alle sirene dell'establishment londinese filo-Ue e prestando il fianco all'accusa di non capire il paese reale.

Ma la campagna per tenere Londra legata all'Europa "non si vince solo diffondendo schede con i dati circa i benefici che il Regno trae dall'appartenenza all'Ue”. Come il referendum scozzese ha insegnato, “non si vincono i cuori parlando alle teste e ai conti in banca".

Il messaggio di Brown è ben diverso e guarda a una Gran Bretagna "non già nell'Ue, ma che guidi l'Ue", specie se in un decennio o poco più, con la riduzione della popolazione tedesca, Londra si troverà a essere la più grande e potente economia del continente.

Di contro, "l'opzione di lasciare l'Ue per aprirci al mondo farebbe del Regno Unito la Nord Corea dell'Europa, con pochi alleati, priva d'influenza, pochi scambi e una contrazione degli investimenti".

Gabriele Rosana è stato stagista per la comunicazione dello IAI (Twitter: @GabRosana).
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