Master in
“TERRORISMO E ANTITERRORISMO INTERNAZIONALE”
Terrorismo. i campi di concentramento in Cina
ANNO ACCADEMICO 2023/2024
(dalla presente tesi si estrare il paragrafo - capitolo III- La questione Uigura nella Regione Autonoma dello Xinjiang)
La questione Uigura nella Regione Autonoma dello Xinjiang
Gli
Uiguri sono una minoranza turcofona musulmana che vive nel nord-ovest della
Cina, soprattutto nello Xinjiang, una regione autonoma della Cina
nord-occidentale dal 1955, ed è tra le più grandi della nazione: si trova tra
Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan,
India, la regione autonoma del Tibet e le province del Qinghai e del Gansu. Gli
Uiguri hanno una discendenza diretta dalle tribù nomadi provenienti dalla
Mongolia che si insediarono nel bacino del Tarim, circondato da catene montuose
quali Tian a nord, Pari a ovest e i Kunlun a sud, intorno al VII secolo.
Lo
Xinjiang, ceduto dal Guomindang alle forze comuniste durante la guerra civile
del 1949, ha acquisito lo status di regione autonoma nel 1955 per la presenza
sul territorio della minoranza Uigura, uno dei cinquantasei gruppi etnici
riconosciuti dal Partito Comunista Cinese. Questo status le garantisce un
proprio governo locale e una maggiore autonomia legislativa.
Questa
popolazione è caratterizzata da tratti antropometrici simili a quelli delle
popolazioni dell’Asia Centrale, la confessione religiosa (Islam sunnita) e la
lingua turcofona.
La
“Questione Uigura” comincia con il crollo dell’Unione Sovietica e l’istituzione
delle repubbliche indipendenti di Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan lungo i
confini della regione, e nasce dalla paura del governo di Pechino della nascita
di stati indipendenti in Asia Centrale, infatti, il crollo dell’unione
sovietica contribuì a riaccendere i sentimenti secessionisti della minoranza.
Nonostante che l’allora presidente cinese Jiang Zemin si affrettò a regolarizzare
i rapporti con gli stati emersi dal crollo, gli Uiguri iniziarono degli scambi
commerciali con altri Uiguri del Kazakistan e del Kirghizistan: è proprio per
questi che la popolazione riscoprì un ideale “panturco” e a fomentare un nuovo
ciclo di moti separatisti nella regione.
Le
autorità di Pechino hanno racchiuso in questo separatismo la “guerra globale
al terrorismo”, trasformando ufficialmente gli Uiguri in “terroristi” per il
governo centrale. Gli Uiguri rappresentano la somma di separatismo, estremismo
religioso e terrorismo.
È nata
così, con la potenziale instabilità creata dagli Uiguri, La Struttura
Regionale per l’Antiterrorismo, un’agenzia a cooperazione in Asia Centrals, il
cui scopo è quello di scambio di informazioni sui gruppi terroristici
nazionali e internazionali. Quest’agenzia fa capo alla SCO, l’organizzazione
per la Cooperazione di Shangai che riunisce Cina, Russia, Kazakistan,
Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan, India e Pakistan.
Con i
nuovi progetti della Via della Seta, la posizione dello Xinjiang si è
aggravata ulteriormente, poiché la regione è attraversata da tre (su cinque)
corridoi economici, questa nazione rappresenta una priorità fondamentale per
la politica estera della Cina. Il primo corridoio economico, il New Eurasian
Land Bridge (NELBEC), connette le regioni costiere della Cina orientale ai
mercati dell’Europa settentrionale, valicando le frontiere nazionali proprio
tra lo Xinjiang e la zona economica speciale di Khorghos in Kazakistan. Il
secondo corridoio, il Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale (CCAWAEC), parte
dalla capitale regionale dello Xinjiang, la città di Urumqi, e attraversa il
Medio Oriente fino a raggiungere il porto del Pireo in Grecia. Il terzo
corridoio, il Cina-Pakistan Economic Corridor (CPEC), è uno degli interessi
principali di Pechino, connette la città di Kashgar nello Xinjiang meridionale
al Mar Arabico, offrendo un accesso diretto alle rotte marittime per i porti di
Kenya, Sri Lanka ed Europa. Lo Xinjiang risulta quindi un “tunnel” obbligatorio
nei progetti della Nuova via della seta.
A
partire dal 2017, secondo le stime, più di un milione di Uiguri si trovano
imprigionati nei “centri di formazione professionale”, obbligati ad essere
rieducati attraverso il lavoro, a svolgere lavoro forzato, a bassissimo costo,
in condizioni disumane. Questi campi sono volti alla rieducazione dei membri
delle minoranze islamiche nella regione. Attualmente la dottrina pare essersi
concentrata sullo studio della propaganda comunista e la ripetizione di slogan
a supporto del presidente Xi; la principale fonte di informazione rimangono le
testimonianze.
Gli
attentati dell’11 settembre 2001 sono serviti al governo cinese per puntare il
dito contro la minaccia terroristica rappresentata dallo Xinjiang, visti già
allora come separatisti e inasprendo la loro condizione affermando l’esistenza
di un legame tra questi e il terrorismo internazionale e che “separatismo” e
“terrorismo” fossero una cosa sola.
Dopo
questi avvenimenti, Pechino chiese supporto alla comunità internazionale al
fine di debellare questi gruppi di opposizione che minacciavano la stabilità
del paese, e nel fronte interno iniziò ad intensificare la repressione
religiosa: da un report di Amnesty (marzo 2002) emerge che nei sei mesi successivi
agli attentati dell’11 settembre sono state arrestate migliaia di persone, per
la maggior parte Uiguri.
Nel
settembre 2003, fonti Uigure in esilio hanno affermato che, con la scusa di
operazioni di sicurezza contro il terrorismo, decine di migliaia di persone
sono state arrestate e accusate di “separatismo” o “terrorismo” perché trovate
in possesso di libri Uiguri ed altri documenti sospettati di promuovere
l’indipendenza (poi dati alle fiamme). Vennero inoltre chiusi i luoghi che
esercitavano una “cattiva influenza sui giovani”. Da questo momento in poi,
venne istituita nella regione una campagna di “rieducazione politica” che
prevedeva delle lezioni obbligatorie di “educazione politica”aventi il fine di
chiarire la politica del governo sulle questioni religiose e le minoranze
etniche, di adattare poi la religione alla visione socialista della società
per dare stabilità alla regione.
Attualmente,
sono considerate legali le pratiche religiose conosciute e controllate dal
governo, mentre le attività non riconosciute sono considerate illegali e
vengono represse. Le pratiche riconosciute devono avere le seguenti
caratteristiche:
- appartenere ad una delle cinque religioni ufficiali
riconosciute dal governo: buddismo, taoismo, cattolicesimo,
protestantesimo e islam;
- essere amministrate da personale ufficialmente accreditato;
- essere esercitate in luoghi adibiti a questo scopo dal governo;
- essere svolte nel rispetto e all’interno delle regole fissate
dal Partito.
Sono
emerse serie preoccupazioni sulla condizione degli Uiguri dopo il rapporto
annuale della United States Commission on International Religious Freedom del
2004, dedicato alle misure adottate dalle autorità cinesi per reprimere la
libertà di religione nel Xinjiang, in particolare dopo l’annuncio del 2003 del
partito della loro intenzione di reprimere gli estremisti religiosi, i
terroristi e i separatisti. La commissione chiedeva:
- “to respect fully the universality
of the right to freedom of religion or belief and other human rights and
ratify the International Covenant on Civil and Political Rights;
- to undertake to strengthen scrutiny
by international and U.S. bodies of China's human rights practices and
the implementation of its international obligations;
- to raise the profile of the
conditions of Uighur Muslims by addressing religious freedom and human
rights concerns in bilateral talks; by increasing the number of
educational opportunities in the United States available to Uighurs; and
by increasing radio broadcasts in the Uighur language”.
La maggior parte dei prigionieri
dei Laogai sono di origine Uigura, incarcerati per care di sinizzare il popolo
degli Uiguri per farli diventare davvero cinesi: gli Uiguri devono mangiare
carne di maiale, bere alcolici e ballare, imposto con la minaccia di morte.
"Vivono” in celle sovraffollate e sporche, cantano slogan e sono costretti
a guardare video di propaganda. Viene insegnato loro a non essere musulmani e a
proteggere la Cina.
Il
Partito Comunista Cinese, come di consueto, nega l’esistenza di questa
tipologia di carceri nello Xinjiang. Il Ministero degli Esteri cinese ha
dichiarato: “Tutti i gruppi etnici nel territorio del Xinjiang vivono in un
clima di pace e prosperità.”
Nel
novembre del 2019, il New York Times di New York pubblicò più di 400 pagine
di documenti riservati che accusavano e dimostravano che la minoranza etnica
dello Xinjiang, gli Uiguri, fossero rinchiusi nei campi di rieducazione. Non è
stata però la prima volta che veniva esposta questa pratica, infatti, già nel
2008, secondo un’indagine della Laogai Research Foundation, nella Repubblica
Popolare Cinese questi campi ammonterebbero a 1.422 per l’esattezza.
Non è
certo, anni dopo, quanti siano i campi attualmente attivi. Certo è il punto
svelato dalla BBC, ossia che questi campi siano realmente in funzione, che
siano incarcerate migliaia e migliaia di persone provenienti dallo Xinjiang,
che siano incarcerati uomini, donne, bambini provenienti dalle altre regioni
della Cina, che vengano lavorare in condizioni di schiavitù e che vengano
sottoposte a torture. Senza alcun tipo di ripercussione sul Governo Cinese.
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