Il
programma nucleare sovietico ebbe inizio
nel 1943, ma il primo test venne effettuato soltanto nel 1949, in risposta alla
corsa agli armamenti degli USA e poi testato a Semipalatinsk, nell'attuale
Kazakistan, nel 1953. Nel 1961 fu testato anche il più potente ordigno
all'idrogeno mai realizzato, soprannominato proprio per questo "bomba
zar". Per dare un'idea della forza sprigionata dall’ordigno basti pensare
che la sua potenza raggiungeva i 100 megatoni, quella lanciata sulla città di
Nagasaki non superava i 21. Per tale ordigno fu osservato un raggio di
distruzione totale di 35 km.
Nella
strategia militare e nel conseguente programma di armamenti che scaturiva dalla
sua dottrina, l'URSS seguiva la massima leninista secondo cui “la quantità ha
una qualità propria”, ad esempio nel
decennio 1977-1986 vennero costruiti 3.000 ICBM e SLBM e 140.000 missili
terra-aria[1].
Alla fine degli anni Ottanta l'arsenale sovietico raggiunse il picco, con circa
45mila testate disponibili. Con la fine dell'Urss e della guerra fredda, il
numero diminuì progressivamente, fino alle 7300 attuali, di cui
2800 dispiegate e pronte all'uso. In seguito al crollo dell'URSS nel 1991
per il neo costituito ministero della Difesa russo, la sfida immediata fu
quella di trasferire armamenti, mezzi, attrezzature e personale dai nuovi Stati
indipendenti al nuovo Stato russo. Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, i
quattro stati con armi nucleari nel loro territorio, alla fine raggiunsero un
accordo per smantellare tutto l’armamento nucleare tattico e strategico nelle
repubbliche non russe o il suo rientro in Russia.
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