Sergio Benedetto Sabetta
Gli avvenimenti di questi ultimi giorni
relativi alla guerra in Ucraina, con il mandato di cattura
internazionale per crimini di guerra emesso dalla Corte Internazionale dell’Aja, la reazione russa, con la raccolta a
sua volta di dati relativi ai presunti crimini di guerra ucraini e la visita di
Putin in Crimea e nei territori occupati, gli scontri negli USA, l’ulteriore
accentramento di poteri in Cina, impongono una riflessione sul concetto di
“bellum justum”, così come impostato nella seconda metà del ‘900.
Già Carl
Schmitt nel suo “concetto discriminatorio di guerra” poneva il problema del
superamento dello “Jus publicum europaeum” che aveva per oltre due secoli
governato i rapporti tra gli Stati europei dalla fine delle guerre di religione
nel ‘600, limitando la violenza nel riconoscimento reciproco, nonostante lo
stato di guerra.
L’introduzione
nel primo dopoguerra della dottrina etico-teologica della “guerra giusta”
risultava nei fatti un regresso, trasformando il nemico in un pirata destinato
ad essere annientato, magari dopo un processo in cui si dimostrava la sua
giusta causa e violenza, il “bellum justum” come “justa causa”, sanzionata da
una autorità superiore, che nella dottrina medievale poteva essere il Pontefice
romano quale autorità giuridica superiore della Chiesa cattolica.
L’universalismo della Chiesa
cattolica viene recuperato negli organismi internazionali, tra i due conflitti
mondiali dalla Società delle Nazioni, mentre nel secondo dopoguerra dall’ONU di
cui il Tribunale dell’Aja ne è il complemento operativo.
Questo schema per Schmitt è
funzionale al nuovo universalismo USA in cui la mancanza di riconoscimento del
nemico, che diventa per tale via “nemico pubblico”, ossia un “criminale” da perseguire,
ne diventa uno dei pilastri.
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Naturalmente bisogna sempre
distinguere tra un giudizio giuridico ed un giudizio storico, nel primo caso
interviene il fattore della vittoria o della sconfitta che rende possibile ed
operativo il giudizio, che acquista inoltre una valenza anche propagandistica
nell’assimilare tutte le guerre ad una guerra civile.
Schmitt parla di una “teoria
sistemica della collocazione dei concetti”, osserva infatti che “quando una
certa questione viene trattata in un determinato punto del sistema del diritto
internazionale, sono state già anticipate conclusioni determinanti. […] la
forza persuasiva e la coerenza di una teoria giuridica internazionale, è
determinata non solo dal contenuto di un’idea isolata, bensì sostanzialmente dalla
collocazione di un concetto entro un sistema di concetti” (13, C. Schmitt, Il
concetto discriminatorio di guerra, Laterza 2008).
Anche Grozio, sebbene parli di guerre
giuste o ingiuste, riconosce essere la guerra qualcosa di diverso da un
giudizio giuridico dove vi è la sanzione e la definizione di pirateria, rapina
e omicidio, il definire secondo Lauterpacht il diritto internazionale come
privo di lacune e, quindi, in grado di risolvere i conflitti mediante
arbitrato, non può sostituire la guerra dove vengono a confluire interessi
economici, visioni geo-strategiche e fattori culturali, non potendo dare luogo
ad un common law internazionale gestito da una magistratura internazionale che
si imponga all’insieme degli Stati.
D’altronde il concetto di “bellum justum”
permette di intervenire nel conflitto, coprendo i propri interessi economici o
politici, sotto le insegne sacramentali di un’autorità superiore che legittimi
una nuova crociata laica, come più volte è avvenuto nelle guerre a cavallo del
millennio, inoltre si introduce un elemento di lotta assoluta, dove vi è teoricamente
l’impossibilità dell’accordo con la controparte dichiarata “criminale”.
Tuttavia anche ad un altro livello
una volta iniziata una guerra, ossia nelle modalità della stessa, vi è l’ambiguità
della valutazione dell’atto in funzione della vittoria, chi vince sarà
giudicato dalla Storia, chi perde da un tribunale, estremizzando lo scontro
nella difficoltà di un accordo, assumendo il giudizio l’ambiguità di un atto
comunicativo bellico, di cui vari esempi si possono riscontrare dalla fine
della guerra fredda ad oggi.
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Bibliografia
·
A.
de Benoist, Terrorismo e “guerre giuste”. Sull’attualità di Carl Schmitt, Guida
2007;
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P.P.
Portinaro, La crisi dello Jus publicum europaeum. Saggio su Carl Schmitt,
Edizione di Comunità, 1982;
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G.
Preterossi, Carl Schimitt e la tradizione moderna, Laterza, 1996;
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D.
Zolo, I signori della pace, Carocci 1998.
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