L’
U.E. nella transizione globale
Sergio Benedetto
Sabetta
Nel pensiero unico dell’economia di mercato
affermatosi con il crollo della Cortina di ferro, in cui non vi è la necessità
di accordi, secondo l’insegnamento di Keynes,
per evitare i “fallimenti” di mercato
già verificatosi varie volte nella storia, il libero mercato diventa uno “stato di natura” di cui la governance democratica è una semplice
sovrastruttura politica.
Viene meno la necessità di trattati sistemici tra
sfere di influenza, essendo i meccanismi dell’economia di mercato sufficienti a
tenere insieme le singole nazioni, anzi a spingerle progressivamente verso
modelli di governance democratici
nella prospettiva di una ineluttabile prosperità comune.
Una visione talmente radicata che nemmeno la grave
crisi del 2008, richiamando la crisi del 1929 foriera degli sconvolgimenti
degli anni trenta del ‘900, ha scalfito nonostante il suo allargarsi nel
decennio successivo con gli attacchi speculativi e l’Italia nel 2011, fino a
Portogallo e Irlanda (PIGS).
La risposta dell’U. E. è la “politica dell’austerità” ispirata dalla Troika, intesa a stabilizzare l’Euro senza dovere coinvolgere di
Stati dai conti pubblici privi di disavanzo, si evita così di condividere il
debito, solo l’intervento massiccio della BCE di Draghi stabilizza il sistema
Euro che altrimenti rischierebbe di essere travolto.
L’interpretazione della crisi finanziaria come mero
rischio redistributivo persiste per un decennio, fino alle crisi della pandemia
e della guerra in Ucraina, quando viene varato per gli anni 2021-2027 il PNRR
nel quale vie è una visione unitaria dell’economia europea e del suo rilancio attraverso una
condivisione unitaria del debito.
A livello globale si assiste ad un cambiamento del
modello concorrenziale dell’ultimo trentennio, con un rimpatrio in Occidente
dei processi di produzione riguardanti le attività strategiche, quali i sistemi
di difesa e sicurezza, mentre la Cina, visto il blocco sulla “via della seta”, cerca di sviluppare
nuovi mercati in Asia e Africa.
Se gli USA, possedendo un sicuro approvvigionamento a
bassi costi di materie prime ed energia, puntano alle produzioni innovative e a
costi contenuti, l’Europa viene a trovarsi priva di una visione geo-strategica
da affiancarsi necessariamente a quella geo-economica, non avendo una
sufficienza né energetica né sulle materie prime.
L’attentato del 2001 alle Torri Gemelle equivale alle
crisi del 2020 e 2022 che modificano i
paradigmi strategici ed economici in Europa,
già modificati implicitamente dall’allargamento ad Est tra il 2004 e il
2007 di cui premessa ne è stato il Trattato di Nizza anch’esso del 2001, ne è
dimostrazione il “Trimarium” e la
crescente importanza di Varsavia per gli USA nello scacchiere europeo (AA.VV., La Polonia Imperiale, Limes, 2/2023).
Nel constatare che il libero mercato non assicura di
per sé la democrazia viene meno l’illusione illuministica della pace
universale, fondata sul calcolo razionale delle pure convenienze economiche,
riemerge pertanto il “sovranismo razionalistico”
quale interesse del particolare contrapposto all’universale.
La crisi di questo triennio, 2020-2021, e la volontà
in Europa di rilanciare l’economia sulla riconversione delle attività in green,
viene a scontrarsi su problematiche che rischiano di trasformare la Next Generation EU in un catalogo di
buone intenzioni.
Si deve considerare che la Cina è passata da una
riserva e capacità di produzione di “terre
rare” dal 70% al 90% delle quote di mercato, es. i pannelli solari e le
batterie elettriche, inoltre alla fine del 2021 ha provveduto alla
statalizzazione di tutto il settore con la creazione del colosso “China Rare Earth Group” (Il Sole 24 Ore Plus 24 del 13/8/22 e il
Corriere della Sera del 30/6/22: “ La Cina è la signora dei pannelli solari: all’Italia serve una
filiera”).
Attualmente la Cina ha il 67% di produzione di
germanio e il 61% di silicio metallico, nonché il 79% del mercato dei pannelli
solari, anche attraverso accordi economici e strategici con numerosi paesi
forniti di disponibilità delle risorse minerarie e dei suoi bassi costi di
produzione pianificati.
Si passa, quindi, da una dipendenza del gas russo ad
una dipendenza tecnologica dal colosso cinese, nella mancanza di una visione
unitaria tra geo-economia e geo-strategia, dove nello sviluppare una economia
sostenibile non si considerano i 17 minerali strategici necessari, né, è stato
da più parti giustamente osservato, l’abbattimento dell’inquinamento non può
concentrarsi solo in Europa, per il suo peso totale di circa il 9% in ambito
mondiale, né troppo velocemente per non finire in una dipendenza strategica.
Vi è inoltre una mancanza di chiarezza, cercando di
sostituire il recupero della crescente energia elettrica necessaria con il
ricorso al nucleare, o il voler applicare lo stesso modello in contesti
diversi, basti pensare alle recenti problematiche edilizie sia in termini di
costi che di qualità dei materiali (La
droga Superbonus. Un’ overdose di edilizia da cui bisogna uscire, in La
Repubblica 27/2/23), né si è fatta chiarezza, nel rapporto inquinante tra
auto, navi e trasporto aereo, forse per salvare importanti settori economici.
Le crisi degli ultimi tre anni hanno inoltre
evidenziato l’abuso del debito pubblico e privato, circostanza che indebolisce
ulteriormente il modello economico attuale.
Il venir meno del sistema di Bretton Woods nel 1971 ha
aperto le porte all’inventiva finanziaria ed alla conseguente speculazione,
deresponsabilizzando gli Stati sulla propria moneta e sulla sua suo stabilità, venendo
meno il rapporto tra economia e finanza, fino a raggiungere un ammontare ad
oggi di 300 mila miliardi di dollari, pari al 360% del PIL mondiale.
Questo ha favorito la “trappola della liquidità”, disincentivando gli investimenti a lungo
termine e i conseguenti rischi, necessari negli investimenti sui cambiamenti
attuali, ma anche ponendo una debolezza verso i Super Stati con surplus
economico (Il fallimento del sistema
finanziario mondiale, in La Guerra Grande, Limes, 7/2022).
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