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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

mercoledì 31 maggio 2023

Il Problematico sistema della U.E.

 


 

Tra collaborazione e diffidenza

 

 

Sergio Benedetto Sabetta

 

 

 

          La Comunità Europea all’art. G del trattato di Maastricht sancisce la sua definitiva trasformazione dai rapporti strettamente economici in una struttura a vocazione generale, dove all’unione economica e monetaria si affiancano obiettivi politici e sociali, quali l’occupazione e i diritti dei cittadini, la politica estera e di sicurezza comune, la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (Trattato di Amsterdam).

Resta tuttavia una entità di incerta definizione ben lontana da una unione di tipo federale, in cui convivono organi parlamentari, Corte di Giustizia e un Consiglio Europeo assomigliante ad una conferenza internazionale, la vocazione generale non può pertanto trasformarsi in competenza generale, considerando il principio delle competenze di attribuzione per cui i poteri di azione della Comunità devono ridursi ai soli previsti dal trattato C.E.

          Si tratta di un sistema di poteri a carattere tassativamente chiuso, dove ogni potere a pena di invalidità deve indicare la propria base giuridica, solo nell’ipotesi di cui all’art. 308 C.E. “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso” (teoria dei poteri impliciti).

Il ricorso a tale teoria ha comportato un grosso fenomeno di “auto espansione” delle competenze comunitarie (sent. 12/7/1973, c. 8/73, Massey-Ferguson), circostanza che ha provocato una reazione di alcuni Stati membri per cui è stato introdotto il principio generale di sussidiarietà in materia di competenze (Trattato di Maastricht), nella difficoltà della distinzione tra competenze esclusive e quelle concorrenti si è introdotto con il trattato di Amsterdam i principi di sussidiarietà e di proporzionalità in rapporto alla dimensione o agli effetti dell’azione da intraprendere.

          La matrice internazionalista della C.E. si rileva dalla mancanza della divisione dei poteri propria degli Stati di origine liberale, vi è infatti nell’organizzazione comunitaria la compartecipazione di più organi all’esercizio della medesima funzione al fine della tutela dei vari interessi degli Stati rappresentati, essendo inoltre priva di un proprio apparato amministrativo diffuso sul territorio deve avvalersi delle amministrazioni degli Stati membri, nasce l’esigenza di affermare il principio di una leale cooperazione tra la Comunità e gli Stati membri.

Un principio su cui la Corte di Giustizia nel valorizzarlo ha fondato una obbligazione risarcitoria a carico degli stessi Stati membri per i danni causati ai singoli dalla inattuazione delle disposizioni comunitarie (sent. 19/11/1991, c. 6 e 9/90, Francivigh), inoltre ha riaffermato l’obbligo per tutte le autorità degli Stati membri di garantire il rispetto delle norme comunitarie nell’ambito della propria competenza (Sent. 12/7/1990, c. 81/88, Germania c/o Commissione).

          Il sistema così delineato fa emergere chiaramente le difficoltà di rapporti tra una C.E. insicura, nata per fini economici di reciproca assicurazione nel tentativo di evitare futuri conflitti, e il sogno derivante da una necessità storica di costituire un organismo dalle competenze più generali, che possa porsi in termini paritari tra le nuove potenze extraeuropee.

Una organizzazione che viene tuttavia a scontrarsi con strutture statali ben più vecchie e consolidate, portatrici di proprie tradizioni, culture e storie frequentemente conflittuali in un rapporto di alternanza tra supremazia e vassallaggio, di rivolte e sanguinose repressioni, dove i sorrisi nascondono profonde differenze, difetti e pregi, ma anche reciproci sospetti, come evidenziato anche recentemente con i provvedimenti post - pandemia e sulla protezione ambientale dove necessità e visioni diverse si sono manifestate tra mondo mediterraneo e nordico.

          L’accelerazione dinamica che si è voluti imprimere comporta automaticamente una alta frequenza di attriti e conflitti a tutti i livelli di un equilibrio sistemico complesso, vi è un ondeggiare continuo tra accentramento e riaffermazione di autonomie che si traducono paradossalmente in ulteriori frammentazioni, come il nazionalismo ottocentesco di riunificazione si è trasformato in una deriva di divisioni rendendo ulteriormente complesso il quadro istituzionale, trasformando la Comunità in un contenitore poliedrico di sogni, speranze, diffidenze e rancori.

Gli Stati moderni nati come Nazioni diventano semplici contenitori di sub-sistemi nazionali, territori minori contenenti altre nazioni con proprie culture e reti autoriproducentesi, il cui tessuto di unione è formato dal minimo comune denominatore di una burocrazia accentrata, ma anche in molti casi delegittimata, e dagli interessi economici costruiti nel tempo (Putnam, Schiavone, Salvadori, Romano).

          Il crescere della complessità nel rendere difficoltosa la relazione tra i suoi membri deve procedere in modo selettivo, fino a differenziarsi in sottosistemi e nell’automoltiplicarsi, nel ripetere se stesso si distingue dall’ambiente esterno (Luhman), si ha di fatto una stratificazione che conduce necessariamente alla gerarchizzazione delle diseguaglianze interne.

Interviene quindi una differenziazione funzionale all’interno del sistema in una lotta al prevalere, dove di fatto il rapporto graduale delle funzioni tra loro è regolato sommariamente con una conseguente maggiore flessibilità ma anche complessità, ben superiore alla semplice stratificazione, questi mutamenti di differenziazione e complessità muta anche il significato dell’ambiente in cui vive il singolo, dove la complessità crea nuove proprietà (Simon).

          Nel sistema Comunitario raffrontiamo realtà e culture differenti, le stesse disposizioni non solo hanno esiti diversi ma sono viste e sentite in forma diversa, possono creare scontri e ulteriori differenze, il tecnicismo è solo un inquadramento dai risultati non sempre previsti, le singole culture e gli occhi con cui si guardano i dati possono dare risultati diversi, l’attuazione di un principio è sempre qualcosa di soggettivo che può trasformarsi in un rigetto.

Lo stesso concetto di Comunità Europea è qualcosa di flessibile, che si vuole evolvere verso una Unione che non può essere una unità monolitica, la pressione verso una omogeneità può essere fonte di malumori e rigetti se intesa in termini autoritari e di sopraffazione, secondo la nostra storia millenaria, il termine U.E. derivando da quello di Comunità ha in sé una logica, l’essenza di qualcosa di più di un semplice “nome” che tuttavia risente della storia complessa del continente.

          Si deve considerare che il “nome” oltrepassa il semplice concetto essendo il centro di una logica che come tale esige una risposta, l’uomo è  esigenza di una libertà la quale deve interagire con la realtà del mondo e la problematicità dell’esistenza stessa, la creazione è per l’uomo il momento massimo di libertà che gli sia dato ma anche l’accettazione di una temporalizzazione con la rinuncia alle eterne possibilità.

L’esigenza di eternità riemerge con le istituzioni fonte di una riunificazione legislativa dove passato e futuro vengono riassorbiti nel presente, la libertà viene pertanto limitata dal solo esistere, ma rinasce dal rapporto volontà – scelta che ridefinisce la relazionalità e in questa coappartenenza vi è una dipendenza espressione di una libertà temporalizzata, è la possibilità della scelta e quindi della volontà che deve essere garantita (Rosenzweig).

          Quello che permane della libertà di scelta sono i suoi frutti, essendo la scelta un evento che produce altri eventi, ma la scelta coinvolge soprattutto nelle istituzioni gli altri, così che il fondamento del mondo è all’esterno di una semplice visione inclusiva, nella temporalizzazione storica dei fermenti alcuni vengono a perdersi nel tempo perché inattuali, in un possibile e probabile futuro riemergere.

Viene quindi meno la tentazione di una totalità unidimensionale del pensiero proprie di tutte le epoche, nella ricerca di una impossibile unità sistematica del mondo, il sistema non è una struttura architettonica statica bensì individualità in relazione, in un rapporto che da oggettivo diventa soggettivo quale cornice del sistema, si ha il mantenimento di un pluriverso nell’unità del sistema stesso (Rosenzweig, Baccarini), superando la rigida totalità unitaria hegeliana, ponendosi tra l’essere e il dover essere kantiano in una valutazione della intersoggettività che non sia la negazione della singolarità (Husserl). 

              

sabato 20 maggio 2023

L' U-E. nella transizione globale

 

L’ U.E. nella transizione globale

Sergio  Benedetto  Sabetta

 

               Nel pensiero unico dell’economia di mercato affermatosi con il crollo della Cortina di ferro, in cui non vi è la necessità di accordi, secondo l’insegnamento di Keynes, per evitare i “fallimenti” di mercato già verificatosi varie volte nella storia, il libero mercato diventa uno “stato di natura” di cui la governance democratica è una semplice sovrastruttura politica.

               Viene meno la necessità di trattati sistemici tra sfere di influenza, essendo i meccanismi dell’economia di mercato sufficienti a tenere insieme le singole nazioni, anzi a spingerle progressivamente verso modelli di governance democratici nella prospettiva di una ineluttabile prosperità comune.

               Una visione talmente radicata che nemmeno la grave crisi del 2008, richiamando la crisi del 1929 foriera degli sconvolgimenti degli anni trenta del ‘900, ha scalfito nonostante il suo allargarsi nel decennio successivo con gli attacchi speculativi e l’Italia nel 2011, fino a Portogallo e Irlanda (PIGS).

               La risposta dell’U. E. è la “politica dell’austerità” ispirata dalla Troika, intesa a stabilizzare l’Euro senza dovere coinvolgere di Stati dai conti pubblici privi di disavanzo, si evita così di condividere il debito, solo l’intervento massiccio della BCE di Draghi stabilizza il sistema Euro che altrimenti rischierebbe di essere travolto.

               L’interpretazione della crisi finanziaria come mero rischio redistributivo persiste per un decennio, fino alle crisi della pandemia e della guerra in Ucraina, quando viene varato per gli anni 2021-2027 il PNRR nel quale vie è una visione unitaria dell’economia europea  e del suo rilancio attraverso una condivisione unitaria del debito.

               A livello globale si assiste ad un cambiamento del modello concorrenziale dell’ultimo trentennio, con un rimpatrio in Occidente dei processi di produzione riguardanti le attività strategiche, quali i sistemi di difesa e sicurezza, mentre la Cina, visto il blocco sulla “via della seta”, cerca di sviluppare nuovi mercati in Asia e Africa.

               Se gli USA, possedendo un sicuro approvvigionamento a bassi costi di materie prime ed energia, puntano alle produzioni innovative e a costi contenuti, l’Europa viene a trovarsi priva di una visione geo-strategica da affiancarsi necessariamente a quella geo-economica, non avendo una sufficienza né energetica né sulle materie prime.

               L’attentato del 2001 alle Torri Gemelle equivale alle crisi del 2020 e 2022 che modificano  i paradigmi strategici ed economici in Europa,  già modificati implicitamente dall’allargamento ad Est tra il 2004 e il 2007 di cui premessa ne è stato il Trattato di Nizza anch’esso del 2001, ne è dimostrazione il “Trimarium” e la crescente importanza di Varsavia per gli USA nello scacchiere europeo (AA.VV., La Polonia Imperiale, Limes, 2/2023).

               Nel constatare che il libero mercato non assicura di per sé la democrazia viene meno l’illusione illuministica della pace universale, fondata sul calcolo razionale delle pure convenienze economiche, riemerge pertanto il “sovranismo razionalistico” quale interesse del particolare contrapposto all’universale.

               La crisi di questo triennio, 2020-2021, e la volontà in Europa di rilanciare l’economia sulla riconversione delle attività in green, viene a scontrarsi su problematiche che rischiano di trasformare la Next Generation EU in un catalogo di buone intenzioni.

               Si deve considerare che la Cina è passata da una riserva e capacità di produzione di “terre rare” dal 70% al 90% delle quote di mercato, es. i pannelli solari e le batterie elettriche, inoltre alla fine del 2021 ha provveduto alla statalizzazione di tutto il settore con la creazione del colosso “China Rare Earth Group” (Il Sole 24 Ore Plus 24 del 13/8/22 e il Corriere della Sera del 30/6/22: “ La Cina è la signora dei pannelli solari: all’Italia serve una filiera”).

               Attualmente la Cina ha il 67% di produzione di germanio e il 61% di silicio metallico, nonché il 79% del mercato dei pannelli solari, anche attraverso accordi economici e strategici con numerosi paesi forniti di disponibilità delle risorse minerarie e dei suoi bassi costi di produzione pianificati.

               Si passa, quindi, da una dipendenza del gas russo ad una dipendenza tecnologica dal colosso cinese, nella mancanza di una visione unitaria tra geo-economia e geo-strategia, dove nello sviluppare una economia sostenibile non si considerano i 17 minerali strategici necessari, né, è stato da più parti giustamente osservato, l’abbattimento dell’inquinamento non può concentrarsi solo in Europa, per il suo peso totale di circa il 9% in ambito mondiale, né troppo velocemente per non finire in una dipendenza strategica.

               Vi è inoltre una mancanza di chiarezza, cercando di sostituire il recupero della crescente energia elettrica necessaria con il ricorso al nucleare, o il voler applicare lo stesso modello in contesti diversi, basti pensare alle recenti problematiche edilizie sia in termini di costi che di qualità dei materiali (La droga Superbonus. Un’ overdose di edilizia da cui bisogna uscire, in La Repubblica 27/2/23), né si è fatta chiarezza, nel rapporto inquinante tra auto, navi e trasporto aereo, forse per salvare importanti settori economici.

               Le crisi degli ultimi tre anni hanno inoltre evidenziato l’abuso del debito pubblico e privato, circostanza che indebolisce ulteriormente il modello economico attuale.

               Il venir meno del sistema di Bretton Woods nel 1971 ha aperto le porte all’inventiva finanziaria ed alla conseguente speculazione, deresponsabilizzando gli Stati sulla propria moneta e sulla sua suo stabilità, venendo meno il rapporto tra economia e finanza, fino a raggiungere un ammontare ad oggi di 300 mila miliardi di dollari, pari al 360% del PIL mondiale.

               Questo ha favorito la “trappola della liquidità”, disincentivando gli investimenti a lungo termine e i conseguenti rischi, necessari negli investimenti sui cambiamenti attuali, ma anche ponendo una debolezza verso i Super Stati con surplus economico (Il fallimento del sistema finanziario mondiale, in La Guerra Grande, Limes, 7/2022).

 

mercoledì 10 maggio 2023

Sergio Benedetto Sabetta "Bellum Justum"

 



Sergio Benedetto Sabetta

 

               Gli avvenimenti di questi ultimi giorni  relativi alla guerra in Ucraina, con il mandato di cattura internazionale per crimini di guerra emesso dalla Corte Internazionale  dell’Aja, la reazione russa, con la raccolta a sua volta di dati relativi ai presunti crimini di guerra ucraini e la visita di Putin in Crimea e nei territori occupati, gli scontri negli USA, l’ulteriore accentramento di poteri in Cina, impongono una riflessione sul concetto di “bellum justum”, così come impostato nella seconda metà del ‘900.

               Già Carl Schmitt nel suo “concetto discriminatorio di guerra” poneva il problema del superamento dello “Jus publicum europaeum” che aveva per oltre due secoli governato i rapporti tra gli Stati europei dalla fine delle guerre di religione nel ‘600, limitando la violenza nel riconoscimento reciproco, nonostante lo stato di guerra.

               L’introduzione nel primo dopoguerra della dottrina etico-teologica della “guerra giusta” risultava nei fatti un regresso, trasformando il nemico in un pirata destinato ad essere annientato, magari dopo un processo in cui si dimostrava la sua giusta causa e violenza, il “bellum justum” come “justa causa”, sanzionata da una autorità superiore, che nella dottrina medievale poteva essere il Pontefice romano quale autorità giuridica superiore della Chiesa cattolica.

L’universalismo della Chiesa cattolica viene recuperato negli organismi internazionali, tra i due conflitti mondiali dalla Società delle Nazioni, mentre nel secondo dopoguerra dall’ONU di cui il Tribunale dell’Aja ne è il complemento operativo.

Questo schema per Schmitt è funzionale al nuovo universalismo USA in cui la mancanza di riconoscimento del nemico, che diventa per tale via “nemico pubblico”, ossia un “criminale” da perseguire, ne diventa uno dei pilastri.

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Naturalmente bisogna sempre distinguere tra un giudizio giuridico ed un giudizio storico, nel primo caso interviene il fattore della vittoria o della sconfitta che rende possibile ed operativo il giudizio, che acquista inoltre una valenza anche propagandistica nell’assimilare tutte le guerre ad una guerra civile.

Schmitt parla di una “teoria sistemica della collocazione dei concetti”, osserva infatti che “quando una certa questione viene trattata in un determinato punto del sistema del diritto internazionale, sono state già anticipate conclusioni determinanti. […] la forza persuasiva e la coerenza di una teoria giuridica internazionale, è determinata non solo dal contenuto di un’idea isolata, bensì sostanzialmente dalla collocazione di un concetto entro un sistema di concetti” (13, C. Schmitt, Il concetto discriminatorio di guerra, Laterza 2008).

Anche Grozio, sebbene parli di guerre giuste o ingiuste, riconosce essere la guerra qualcosa di diverso da un giudizio giuridico dove vi è la sanzione e la definizione di pirateria, rapina e omicidio, il definire secondo Lauterpacht il diritto internazionale come privo di lacune e, quindi, in grado di risolvere i conflitti mediante arbitrato, non può sostituire la guerra dove vengono a confluire interessi economici, visioni geo-strategiche e fattori culturali, non potendo dare luogo ad un common law internazionale gestito da una magistratura internazionale che si imponga all’insieme degli Stati.

D’altronde il concetto di “bellum justum” permette di intervenire nel conflitto, coprendo i propri interessi economici o politici, sotto le insegne sacramentali di un’autorità superiore che legittimi una nuova crociata laica, come più volte è avvenuto nelle guerre a cavallo del millennio, inoltre si introduce un elemento di lotta assoluta, dove vi è teoricamente l’impossibilità dell’accordo con la controparte dichiarata “criminale”.

Tuttavia anche ad un altro livello una volta iniziata una guerra, ossia nelle modalità della stessa, vi è l’ambiguità della valutazione dell’atto in funzione della vittoria, chi vince sarà giudicato dalla Storia, chi perde da un tribunale, estremizzando lo scontro nella difficoltà di un accordo, assumendo il giudizio l’ambiguità di un atto comunicativo bellico, di cui vari esempi si possono riscontrare dalla fine della guerra fredda ad oggi.

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Bibliografia

 

·        A. de Benoist, Terrorismo e “guerre giuste”. Sull’attualità di Carl Schmitt, Guida 2007;

·        P.P. Portinaro, La crisi dello Jus publicum europaeum. Saggio su Carl Schmitt, Edizione di Comunità, 1982;

·        G. Preterossi, Carl Schimitt e la tradizione moderna, Laterza, 1996;

·        D. Zolo, I signori della pace, Carocci 1998.