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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

giovedì 26 gennaio 2017

Londra: un anglosfera difficile da immaginare

Gb vs Ue
Brexit: May, le parole e la musica
Riccardo Perissich
22/01/2017
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Annunciando all’assemblea del suo partito che dopo Brexit la Gran Bretagna avrebbe ripreso il pieno controllo dell’immigrazione e si sarebbe svincolata dalla giurisdizione della Corte di Giustizia europea, il primo ministro britannico Theresa May aveva già implicitamente arbitrato in favore di una hard Brexit.

Tuttavia restavano sufficienti ambiguità perché molti continuassero a sperare che il divorzio sarebbe stato meno traumatico. Ora l’incertezza è levata e il discorso del 17 gennaio ha introdotto un’utile chiarezza. La May ha scelto l’ideologia: stare fuori non solo dal mercato unico, ma anche dall’unione doganale. Out means out. Negozieremo quindi un accordo comerciale. Stranamente, la City non è stata nominata nel discorso, ma possiamo essere certi che il problema emergerà con forza nel negoziato.

L’obiettivo di un accordo commerciale è normalmente di eliminare ostacoli esistenti. Questa volta, partiamo da una situazione di ostacoli zero, o quasi. Poiché le motivazioni della Brexit sono politiche per non dire ideologiche, ma dal punto di vista economico il mercato unico beneficia a tutti, l’obiettivo dovrebbe essere di ridurre al minimo l’introduzione di nuovi ostacoli.

Non dovrà quindi essere molto arduo negoziare con successo sui dazi e le procedure doganali. Anche le regole sui prodotti e i servizi, che rappresentano oggi il cuore dei negoziati commerciali fra Paesi sviluppati, sono attualmente largamente comuni. Tuttavia, mentre i dazi si negoziano una volta per tutte, le regole sono destinate a variare nel tempo.

Da sudditanza legale a sudditanza di fatto
Dal momento in cui la Gran Bretagna e l’Unione europea, Ue, avranno recuperato la piena sovranità nella definizione delle regole, si tratterà di evitare che la distanza si allarghi troppo.

La cosa è di capitale importanza per i servizi finanziari e per le industrie, come quella automobilistica, che sono organizzate per filiere di approvvigionamento complesse che devono funzionare senza intoppi e in modo continuo: buona parte dei componenti per l’industria automobilistica britannica, che tra l’altro è completamente in mani europee e giapponesi, vengono dal Continente e queste filiere non si cambiano facilmente.

Nel negoziato si cercherà quindi di stabilire criteri di equivalenza, come si è tentato di fare nell’accordo con il Canada e in quello per ora abortito con gli Usa. Tuttavia tali criteri saranno necessariamente aleatori e sottoposti al rischio di decisioni politiche divergenti.

L’Ue è il mercato verso cui è destinata la metà delle esportazioni britanniche; si presenteranno quindi numerosi casi in cui il Regno Unito dovrà scegliere fra mantenere o adattarsi alle regole europee, oppure perdere dei benefici in termini di accesso. In sostanza si saranno liberati di una sudditanza legale per cadere in una sudditanza di fatto. Certo, la Gran Bretagna negozierà accordi con altri paesi a cominciare dagli Usa, ma per molto tempo nulla potrà sostituire l’Ue.

Un Paese in Europa, ma non dell’Europa
Il discorso di Teresa May contiene altri punti interessanti, in generale costruttivi e ben argomentati. Alcuni sono rivolti all’interno e riguardano il tentativo di rassicurare parte della sua opinione pubblica come la Scozia e l’Irlanda del Nord, oppure i lavoratori che possono temere di perdere la protezione offerta attualmente dalla regole europee.

Ha toccato in termini costruttivi anche la prospettiva di dare assicurazioni ai cittadini, rispettivamente Ue e britannici, attualmente residenti da una parte e dall’altra della futura frontiera. La stessa cosa per i programmi di ricerca a cui i britannici partecipano attualmente, di grande importanza per le loro università ma anche per noi.

Infine l’impegno a continuare la stretta collaborazione nella sicurezza e nella difesa; impegno stranamente presentato come una concessione, quando è palesemente nell’interesse comune e deriva dalla appartenenza alla Nato prima ancora che all’Ue.

May dichiara comunque che è nell’interesse del Regno Unito che l’Ue non si disintegri, anzi si rafforzi. Tutto ciò ricorda il Winston Churchill del discorso dell’Aja: un paese che è “in Europa, ma non dell’Europa.” Quando Churchill pronunciò quelle parole la Gran Bretagna era però ancora al centro di un vasto impero, mentre il continente era in macerie.

I tempi del divorzio e della convivenza
La Gran Bretagna vorrebbe che l’accordo futuro sia negoziato contemporaneamente alle condizioni del divorzio. La posizione dell’Ue è che le due cose sono distinte e successive. La richiesta britannica ha un senso dal punto di vista interno. Se passerà troppo tempo fra la definizione del divorzio e quella del nuovo regime, sarà necessario un lungo periodo transitorio che sarebbe in pratica un prolongamento dello status quo: non facile da spiegare a un’opinione pubblica a cui è stata promessa una rapida libertà dal giogo europeo. Ciò è comunque irrealista per motivi pratici, anche se sarebbe nell’interesse di tutti accorciare i tempi.

Tutto ciò è serio ben argomentato. A un certo punto del discorso la musica, cioè la retorica, prende il sopravvento sulle parole. Un vibrante passaggio in cui si proclama che dopo Brexit la Gran Bretgna ritroverà la sua grandezza riecheggia le composizioni un po’ pompiere di Elgar: ma lo si può capire. Un Paese sensibile al patriottismo e che sta per intraprendere un viaggio molto incerto ha bisogno di essere rincuorato.

Toni perentori e minacce non credibili
Nell’ultima parte gli archi e gli ottoni cominciano a suonare fuori tempo e lo spartito sembra composto dall’ineffabile Boris Johnson. Ci viene in effetti detto in termini perentori che la Gran Bretagna non accetterà ricatti e che se noi non volessimo negoziare in modo costruttivo ci sarebbero conseguenze gravi. Quali? La Gran Bretagna potrebbe scegliere di adottare una politica fiscale e industriale ultra competitiva e diventare una sorta di Singapore d’Europa.

La minacia non è molto credibile. La Gran Bretagna ha già ora da alcuni punti di vista un regime fiscale molto favorevole e, se volesse, nessuno le impedirebbe di allineare le sue imposte sulle società al livello irlandese. È però molto difficile gestire una Singapore di 60 milioni di abitanti che in più si prefigge di negoziare accordi di libero scambio con mezzo mondo e che si presenta come uno dei principali campioni della lotta ai paradisi fiscali.

Ma c’è di più. La spinta originaria per la Brexit viene da quella parte del partito conservatore che, oltre alla questione della sovranità, considera l’Ue troppo dirigista e protezionista e potrebbe sentirsi a suo agio in una Singapore europea.

Tuttavia il referendum è stato vinto con l’apporto decisivo di vasti settori di elettorato popolare contrario alla globalizzazione. Teresa May lo ha ben capito e si è discostata dalla linea molto liberale dei precedenti governi conservatori: Singapore e uno dei migliori welfare europei non sembrano molto compatibili.

Rivedere la tassazione delle società nell’era della globalizzazione è un problema che abbiamo tutti, a cominciare dagli Usa, ma non c’entra con Brexit. C’è in tutto questo una fastidiosa traccia della convinzione di aver in mano le carte migliori e di poter facilmente dividere gli europei: un’arroganza che negli ultimi quarant’anni non ha mai pagato.

Ci sono pochi dubbi che l’Ue negozierà in modo costruttivo perché ciò è nel nostro interesse; a patto che non voglia dire mantenere tutti i vantaggi del mercato unico avendone rifiutato i vincoli.

Tuttavia la Gran Bretagna dovrà sapere che nell’anno tormentato che si apre l’Ue avrà priorità più impellenti. Fermare, a partire da Parigi, l’ondata populista. Mantenere l’unità dei 27. Consolidare la crescita e la governance dell’eurozona. Trovare una migliore risposta al problema dell’immigrazione. Riprendere in mano il problema della nostra difesa e sicurezza.

Ciò non vuol dire che non prenderemo la Brexit sul serio, ma che ogni elemento del negoziato sarà valutato anche alla luce delle priorità che ho menzionato.

Infine, dovremo tutti fare i conti con i cambiamenti nei rapporti transatlantici che sicuramente deriveranno dall’ascesa di Trump. La Gran Bretagna, nostante la promessa di nuove relazioni speciali, su molte questioni difficili (per esempio l’avvenire della Nato, la Russia e l’Iran), ha posizioni più vicine al Continente che non al nuovo presidente. La prospettiva dell’emergere di una nuova “anglosfera” sembra quanto meno azzardata.

Riccardo Perissich, già direttore generale alla Commissione europea, è autore del volume “L'Unione europea: una storia non ufficiale”, Longanesi editore.

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