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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

venerdì 27 gennaio 2017

Londra: sempre più turbolenza

Brexit: Alta Corte e incerto futuro Regno Unito
Lorenzo Colantoni
26/01/2017
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I mesi d’incertezza sulla Brexit, valsi al premier britannico il soprannome di Theresa May-be, potrebbero essere giunti alla fine.

Il sostegno alla Brexit e l’attacco all’Europa di Donald Trump, nell’intervista con Michael Dove del 15 gennaio, e il discorso della May del 17 gennaio hanno infatti rilanciato la discussione su quello che sarà il piano del governo britannico per l’attivazione dell’articolo 50 e l’inizio dei negoziati con l’Unione europea, Ue.

Tralasciando i toni accesi sulla hard Brexit promessa da Theresa May, lo schema di Downing Street è tutt’altro che chiaro - forse inesistente. È quindi la sentenza dell’Alta Corte britannica del 24 gennaio sul ruolo del Parlamento nel processo di attivazione a fornire elementi chiave per comprendere quali saranno i prossimi passi per la Brexit.

Una situazione che imporrà alla May di presentare il suo piano in concreto e forse a scendere a compromessi rispetto all’aggressiva posizione del suo discorso e a non sottovalutare il ruolo della Scozia.

Il contenuto della sentenza
Nell’immediato post-referendum sulla Brexit, un’imprenditrice britannica, Gina Miller, fece appello all’Alta Corte per contestare l’autorità del governo ad attivare l’articolo 50 e di fatto avviare i negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, senza avere prima ottenuto l’approvazione dal Parlamento.

L’obiettivo del governo era quello di utilizzare la cosiddetta royal prerogative, un insieme di poteri della Corona (ma in pratica utilizzati dall’esecutivo) che permettono di prendere decisioni su temi quali i trattati internazionali e la commutazione di sentenze giuridiche, senza la necessità di consultare Westminster.

Una prerogativa che però l’Alta Corte nel dicembre 2016 e la Suprema Corte a gennaio hanno sostenuto non essere di fatto applicabile ai Trattati di adesione all’Unione.

L’appello alla prima sentenza è stato infatti respinto in quanto l’uscita dall’Ue provocherebbe una variazione nelle fonti di diritto britanniche, eliminando tutta la componente di provenienza europea, e nei diritti dei cittadini della Gran Bretagna. “La legge del Regno Unito richiede che questi cambiamenti siano messi in atto da una legislazione emanata dal Parlamento”, ha sostenuto la corte. La palla passa così ora al Parlamento di Westminster

Quale Brexit? 
È molto difficile, forse impossibile, che la sentenza possa provocare un’inversione di marcia del Regno Unito e di fatto una rinuncia alla Brexit. Pone però il governo di fronte a numerosi interrogativi, probabilmente smussando quell’idea di hard Brexit che la May aveva proposto, forse più come minaccia verso l’Ue che come piano concreto.

Difficile infatti immaginare che il Labour prenda l’impopolare decisione di andare contro la volontà popolare espressa dal referendum; e che soprattutto lo faccia il suo leader, quel Jeremy Corbyn che si era spesso opposto all’Ue in passato e che aveva difeso con poca convizione l’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione durante la campagna Remain.

Se un’opposizione alla Brexit in sé è quindi poco probabile, e pure poco probabile che il Parlamento lasci passare il piano della May interamente. Il risultato più probabile sarà un’accesa discussione sul tipo di Brexit da portare avanti.

Questo ribalta l’idea del primo ministro britannico, che proponeva nel suo discorso solo un’autorizzazione finale da parte del Parlamento, cioè dopo l’attivazione dell’articolo 50, l’inizio e la conclusione dei negoziati.

La May, ora, dovrà invece scontrarsi con i laburisti, che pur non opponendosi alla Brexit, potrebbero andare contro la visione del governo per recuperare la propria popolarità ormai ai minimi storici, capitalizzando anche sugli altri problemi che affliggono i conservatori.

Da non sottovalutare poi i cosiddetti “Tories ribelli”, i parlamentari che hanno contrastato in queste settimane l’idea della May sulla Brexit e che sono particolarmente contrari all’uscita dal mercato unico annunciata nel discorso del 17 gennaio.

Le incognite: il whitepaper della Brexit e la Scozia
L’esposizione alla discussione parlamentare e la pressione interna ed esterna al partito conservatore costringeranno così Theresa May ad una definizione dettagliata del suo piano per la Brexit: ha già dichiarato che pubblicherà un White Paper del governo sul processo di uscita, che era stato insistentemente richiesto da numerosi parlamentari nei mesi passati.

Questa soluzione rende però il governo doppiamente vulnerabile: un piano lungo e dettagliato lo esporrà a maggiori attacchi e a una discussione parlamentare più complessa. Un piano breve, con un singolo articolo (cosiddetto single clause bill), rischierebbe invece di non essere valido e di portare ad ulteriori appelli all’Alta Corte.

L’incognita più grande rimane però il ruolo della Scozia. La corte ha infatti dichiarato che non esiste obbligo da parte del governo britannico di consultare i parlamenti regionali di Scozia, Irlanda del Nord e Galles.

Questa parte della sentenza mette così il Paese di fronte a scelte complesse; se il discorso della May era stato preso come uno schiaffo dal primo ministro scozzese Nichola Sturgeon, che aveva visto la sua proposta di collaborazione per una soft Brexit completamente ignorata, la sentenza rischia ora di relegare la Nazione a un ruolo di minoranza nel processo.

Dovendo difendere però gli interessi della popolazione scozzese che ha votato esplicitamente per restare nell’Unione, e quelli del suo partito storicamente europeista, l’Snp, le scelte in mano alla Sturgeon sono così due. La prima è quella di sfruttare i 56 seggi al parlamento britannico (al terzo posto dopo Tories e Labour), attirando a sé Tories e Labour ribelli per prendere la guida dell’opposizione al governo, almeno riguardo alla Brexit.

L’altra è quella di mettere in atto la minaccia di un secondo referendum per l’indipendenza scozzese dopo quello dell’ottobre 2014, e che stavolta potrebbe avere un risultato nettamente differente.

Un’opzione decisamente probabile, nonostante le posizioni spesso unioniste della Sturgeon, vista la dichiarazione fatta dal pm scozzese subito dopo la sentenza: “[La sentenza] fa nascere questioni fondamentali a proposito e oltre quella dell’appartenenza all’Ue. È felice la Scozia che il nostro futuro sia dettato da un governo di Westminster sempre più a destra, ma che ha solo un parlamentare qui, o è meglio prendere il nostro futuro nelle nostre mani? Diventa sempre più chiaro che questa è una scelta che la Scozia deve fare”.

Una decisione che influenzerà la Brexit, il Regno Unito e tutta l’Ue.

Lorenzo Colantoni è Junior Fellow presso lo IAI (Twitter@colanlo).

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