Unione bancaria Il nuovo tassello dell'architettura della zona euro Alessandro Giovannini 19/11/2014 |
Un duro lavoro, durato quasi un anno è finito. La Banca centrale europea (Bce) e l’Autorità europea bancaria hanno pubblicato i risultati degli stress test e dell’Asset Quality Review dopo aver analizzato i bilanci delle 130 banche più grandi della zona euro.
Anche se non si tratta del primo stress test per le banche europee, questo esercizio costituisce il punto di ingresso al meccanismo di vigilanza unico europeo, (Single supervisory mechanism, Ssm,) all’interno del quale la Bce ha la responsabilità di supervisione diretta per queste banche e la responsabilità indiretta per il resto delle banche della zona euro.
Meccanismi unici di supervisione e di risoluzione
La decisione di costruire un'unione bancaria è stata presa nel 2012 per rafforzare l'integrazione dei mercati finanziari nella zona euro, superando le attuali divergenze nei meccanismi di supervisione e di risoluzione delle crisi a livello nazionale.
Mentre l’Ssm è disegnato per superare il primo limite, il secondo verrà superato attraverso il meccanismo unico di risoluzione ( Single resolution mechanism, Srm) che sarà pienamente operativo nel 2015. All’interno del Srm le autorità di risoluzione nazionali verranno progressivamente coinvolte nel processo di mutualizzazione in caso di grandi risoluzioni bancarie, grazie soprattutto al Fondo unico di risoluzione europeo (Single resolution fund, Srf).
Per comprendere meglio come il sistema finanziario della zona euro dovrebbe diventare meno esposto all'instabilità regionale, basta immaginare come, in questa nuova architettura istituzionale, si sarebbe potuto gestire la recente crisi bancaria dell’Irlanda.
Nel 2009, dopo lo scoppio della crisi immobiliare locale, le banche irlandesi sarebbero comunque state in uno stato di difficoltà grave. Con gli attuali poteri, la Bce decide se consentire ad alcune banche di fallire, di essere messe in risoluzione o essere salvate, perché giudicate di importanza sistemica.
I fondi necessari per salvare le banche (o attivare una risoluzione ordinata), tuttavia, non arriverebbero dal governo nazionale irlandese, come è accaduto cinque anni fa, ma dal Srf.
Limiti del fondo unico di risoluzione
Il meccanismo appena descritto mostra bene come grazie a questa nuova architettura sia possibile rompere il diabolico anello che lega a doppio filo banche deboli e finanze pubbliche.
Un legame che è stato distruttivo durante la crisi dell'euro, come mostra il caso italiano in cui le tensioni sui titoli di stato sovrano nel periodo 2011-2012 si sono rapidamente trasmesse sui costi di finanziamento degli istituti di credito del paese e viceversa.
Questa architettura, nonostante in parte sia già operativa è lungi dall’essere perfetta. Per come è stato disegnato, l’Srf, non sarà necessariamente in grado di assicurare un’efficace gestione della crisi.
L'attuale dimensione del Srf (€55 miliardi a pieno regime) è relativamente piccola rispetto alle attività complessive del sistema bancario supervisionato dal Ssm (che ammontano a oltre € 25.000 miliardi) e anche rispetto al capitale complessivo del settore (oltre € 1.000 miliardi).
Inoltre, è ancora poco chiara la sua interazione con l'European stability mechanism (Esm o, più comunemente, il fondo europeo salva stati) per assicurare fondi adeguati a fronteggiare una crisi sistemica. Al momento il ricorso ai fondi dell’Esm (che ammontano a € 500 miliardi) è previsto solo una volta che i programmi di assistenza in corso sono terminati e sono stati rimborsati, cioè circa nel 2030.
Rompere il legame stati-banche
Questa situazione a metà del guado rischia di portare a una rottura parziale del circolo vizioso che si è creato tra le banche e il debito sovrano. Inoltre, il processo di ri-nazionalizzazione del debito sovrano massicciamente acquistato dalle banche nazionali e utilizzato come garanzia per ottenere prestiti da parte della Bce nelle sue operazioni di politica monetaria, ha ancor più rafforzato questo legame, aumentando così la difficoltà di romperlo.
Ad esempio, nel 2013 solo il 38% del debito italiano era detenuto da soggetti esteri, una percentuale notevolmente inferiore rispetto al periodo più acuto della crisi. Una considerazione analoga vale anche per la Spagna e per altri paesi periferici.
Nonostante i mercati finanziari appaiono oggi più solidi del 2012, il potere rivoluzionario dell’unione bancaria è ancora un obiettivo che va perseguito con decisione da parte dei leader europei.
Non si può escludere del tutto di un nuovo acuirsi delle tensioni finanziarie. Senza una solida architettura istituzionale pronta a rispondere a queste pressioni, si rischia una perdita di fiducia ancora più catastrofica di quella di due anni fa.
Alessandro Giovannini è Associate Researcher al Centre for European Policy Studies.
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Anche se non si tratta del primo stress test per le banche europee, questo esercizio costituisce il punto di ingresso al meccanismo di vigilanza unico europeo, (Single supervisory mechanism, Ssm,) all’interno del quale la Bce ha la responsabilità di supervisione diretta per queste banche e la responsabilità indiretta per il resto delle banche della zona euro.
Meccanismi unici di supervisione e di risoluzione
La decisione di costruire un'unione bancaria è stata presa nel 2012 per rafforzare l'integrazione dei mercati finanziari nella zona euro, superando le attuali divergenze nei meccanismi di supervisione e di risoluzione delle crisi a livello nazionale.
Mentre l’Ssm è disegnato per superare il primo limite, il secondo verrà superato attraverso il meccanismo unico di risoluzione ( Single resolution mechanism, Srm) che sarà pienamente operativo nel 2015. All’interno del Srm le autorità di risoluzione nazionali verranno progressivamente coinvolte nel processo di mutualizzazione in caso di grandi risoluzioni bancarie, grazie soprattutto al Fondo unico di risoluzione europeo (Single resolution fund, Srf).
Per comprendere meglio come il sistema finanziario della zona euro dovrebbe diventare meno esposto all'instabilità regionale, basta immaginare come, in questa nuova architettura istituzionale, si sarebbe potuto gestire la recente crisi bancaria dell’Irlanda.
Nel 2009, dopo lo scoppio della crisi immobiliare locale, le banche irlandesi sarebbero comunque state in uno stato di difficoltà grave. Con gli attuali poteri, la Bce decide se consentire ad alcune banche di fallire, di essere messe in risoluzione o essere salvate, perché giudicate di importanza sistemica.
I fondi necessari per salvare le banche (o attivare una risoluzione ordinata), tuttavia, non arriverebbero dal governo nazionale irlandese, come è accaduto cinque anni fa, ma dal Srf.
Limiti del fondo unico di risoluzione
Il meccanismo appena descritto mostra bene come grazie a questa nuova architettura sia possibile rompere il diabolico anello che lega a doppio filo banche deboli e finanze pubbliche.
Un legame che è stato distruttivo durante la crisi dell'euro, come mostra il caso italiano in cui le tensioni sui titoli di stato sovrano nel periodo 2011-2012 si sono rapidamente trasmesse sui costi di finanziamento degli istituti di credito del paese e viceversa.
Questa architettura, nonostante in parte sia già operativa è lungi dall’essere perfetta. Per come è stato disegnato, l’Srf, non sarà necessariamente in grado di assicurare un’efficace gestione della crisi.
L'attuale dimensione del Srf (€55 miliardi a pieno regime) è relativamente piccola rispetto alle attività complessive del sistema bancario supervisionato dal Ssm (che ammontano a oltre € 25.000 miliardi) e anche rispetto al capitale complessivo del settore (oltre € 1.000 miliardi).
Inoltre, è ancora poco chiara la sua interazione con l'European stability mechanism (Esm o, più comunemente, il fondo europeo salva stati) per assicurare fondi adeguati a fronteggiare una crisi sistemica. Al momento il ricorso ai fondi dell’Esm (che ammontano a € 500 miliardi) è previsto solo una volta che i programmi di assistenza in corso sono terminati e sono stati rimborsati, cioè circa nel 2030.
Rompere il legame stati-banche
Questa situazione a metà del guado rischia di portare a una rottura parziale del circolo vizioso che si è creato tra le banche e il debito sovrano. Inoltre, il processo di ri-nazionalizzazione del debito sovrano massicciamente acquistato dalle banche nazionali e utilizzato come garanzia per ottenere prestiti da parte della Bce nelle sue operazioni di politica monetaria, ha ancor più rafforzato questo legame, aumentando così la difficoltà di romperlo.
Ad esempio, nel 2013 solo il 38% del debito italiano era detenuto da soggetti esteri, una percentuale notevolmente inferiore rispetto al periodo più acuto della crisi. Una considerazione analoga vale anche per la Spagna e per altri paesi periferici.
Nonostante i mercati finanziari appaiono oggi più solidi del 2012, il potere rivoluzionario dell’unione bancaria è ancora un obiettivo che va perseguito con decisione da parte dei leader europei.
Non si può escludere del tutto di un nuovo acuirsi delle tensioni finanziarie. Senza una solida architettura istituzionale pronta a rispondere a queste pressioni, si rischia una perdita di fiducia ancora più catastrofica di quella di due anni fa.
Alessandro Giovannini è Associate Researcher al Centre for European Policy Studies.
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