Crisi ucraina Verso una grande Transnistria Francesco Bascone 04/11/2014 |
Le elezioni del 2 novembre nelle “repubbliche” di Donetsk e Lugansk non hanno aggiunto nessun nuovo elemento al risiko della crisi ucraina.
Mosca le ha considerate valide, come aveva già preannunciato mentre l'Unione europea (Ue) non poteva che negarne la validità poiché in contrasto con la costituzione dell'Ucraina.
Queste voltazioni non costituiscono però un nuovo vulnus. Definirle un’ennesima provocazione può servire solo ad accelerare lo scivolamento verso un clima da guerra fredda. Proprio quando le “attività insolite” dell'aviazione russa ai margini dello spazio aereo Nato consigliano una de-escalation.
Elezioni ucraine
I risultati delle parlamentari tenutesi la settimana prima nel resto dell' Ucraina sono stati generalmente accolti con sollievo: ha vinto lo schieramento democratico e pro-europeo, l'estrema destra non è cresciuta, il commento di Mosca è cautamente positivo.
Ci si può augurare che nel formare la coalizione di governo il presidente Pedro Poroshenko e il primo ministro Arseniy Yatsenjuk rinuncino all'apporto del partito Svoboda e che sappiano tenere a bada coloro che premono per una soluzione militare della questione del Donbass.
In Occidente come in Russia, le rispettive propagande hanno fornito immagini distorte degli sviluppi dei mesi scorsi in Ucraina, creando nelle opinioni pubbliche la confusa sensazione che l'aggressività dell'altra parte è stata rintuzzata e che se c'è del vasellame rotto la responsabilità è tutta di quella parte.
Da noi è diffusa una moderata soddisfazione: il presidente russo Vladimir Putin è stato fermato, l'economia russa soffre assai più della nostra per le sanzioni, il 95% dell'Ucraina è stato incorporato nell'orbita dell'Ue. L'Occidente avrebbe quindi vinto la partita geopolitica, nonché quella morale. Ma le cose stanno proprio così?
Armistizio sul Donbass
L'armistizio raggiunto sul fronte del Donbass ha certo evitato il peggio: la paventata conquista russa di un corridoio fra Donetsk e la Crimea. Il bilancio provvisorio del tentativo di soluzione militare deciso da Poroshenko è però pesantemente negativo per Kiev, e quello finale potrebbe essere ancora più disastroso in caso di rottura dell’imperfetta tregua.
Per Putin è stato un successo parziale su cui pesano le sanzioni. L'Europa pagherà un prezzo economico ancora più alto, perché alle conseguenze sulle nostre economie delle sanzioni e delle contromisure russe si aggiungerà l'onere di salvare dal fallimento l'Ucraina.
Inizialmente il sostegno militare russo ai ribelli non aveva preso la forma di un intervento massiccio e dichiarato, come fu quello del 2008 contro la Georgia, in una situazione analoga (in entrambi i casi lo Stato che attaccava una provincia secessionista difendeva legittimamente la propria integrità territoriale, ma sfidava la Russia), ma il 17 luglio scorso, l’abbattimento dell'aereo civile MH17 malese aveva aperto una nuova fase.
Lo sfruttamento propagandistico di quell'"incidente di percorso" da parte occidentale, il giro di vite sulle sanzioni, le bombe sulle città ribelli e soprattutto il rifiuto di Poroshenko di concedere uno status speciale alle regioni russofone e di rinunciare alla associazione alla Ue avevano spinto Putin a decidere un impiego non più dissimulato di truppe russe, alzando il tiro: non più solo rallentare l'avanzata delle forze ucraine, ma passare alla controffensiva aprendo un nuovo fronte più a Sud e minacciando la città di Mariupol.
Di fronte al rischio di amputazione di una striscia di territorio che collega il Donbass con la Crimea, e forse anche oltre, fino a Odessa e a congiungersi con la Transnistria, il presidente ucraino aveva dovuto accettare l'armistizio, cioè rinunciare alla riconquista dei territori orientali, promettendo loro un'ampia autonomia.
Al punto in cui sono giunte le cose, questa formula, più che indicare la prospettiva di una soluzione di compromesso, maschera il sostanziale distacco di quelle province.
Conflitto congelato
Nella migliore delle ipotesi, infatti, per uscire dal circolo vizioso delle sanzioni e dal piano inclinato verso una nuova guerra fredda, Mosca e l'Occidente si accorderanno per il congelamento della situazione sul terreno e l'avvio di un processo negoziale destinato a durare anni o decenni e imperniato sul mantra della "ampia autonomia" delle regioni filorusse, nel rispetto - formalmente - dell'integrità territoriale dell'Ucraina. La Crimea sarebbe un caso "sui generis".
Sia che si giunga ad un accordo su uno status di autonomia, inteso come mascheramento o anticamera della secessione, sia (come è più probabile) che una impasse negoziale consolidi di fatto la separazione, in ogni caso avremo nella regione Donetsk-Lugansk una situazione in tutto analoga a quella della "Repubblica di Transnistria" (confinante con l'Ucraina), sulla quale il governo di Chisinau non esercita da oltre due decenni alcuna autorità.
Analoga anche a quella della Abkhazia e della Sud-Ossezia prima del conflitto del 2008 quando queste due regioni (ex) georgiane hanno ottenuto dalla Russia il riconoscimento dell'indipendenza, nonché presidii militari.
Fermo restando che la Crimea è un caso speciale, l’annessione deve cioè rimanere una eccezione, Mosca appare orientata ad applicare alla "Novorossija" il modello Transnistria. Il modello Abkhazia rimarrebbe in riserva come punizione per eventuali iniziative avventate di Kiev, o come ritorsione contro mosse occidentali, o per soddisfare nuove fiammate nazionalistiche.
Francesco Bascone è Ambasciatore d’Italia.
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Mosca le ha considerate valide, come aveva già preannunciato mentre l'Unione europea (Ue) non poteva che negarne la validità poiché in contrasto con la costituzione dell'Ucraina.
Queste voltazioni non costituiscono però un nuovo vulnus. Definirle un’ennesima provocazione può servire solo ad accelerare lo scivolamento verso un clima da guerra fredda. Proprio quando le “attività insolite” dell'aviazione russa ai margini dello spazio aereo Nato consigliano una de-escalation.
Elezioni ucraine
I risultati delle parlamentari tenutesi la settimana prima nel resto dell' Ucraina sono stati generalmente accolti con sollievo: ha vinto lo schieramento democratico e pro-europeo, l'estrema destra non è cresciuta, il commento di Mosca è cautamente positivo.
Ci si può augurare che nel formare la coalizione di governo il presidente Pedro Poroshenko e il primo ministro Arseniy Yatsenjuk rinuncino all'apporto del partito Svoboda e che sappiano tenere a bada coloro che premono per una soluzione militare della questione del Donbass.
In Occidente come in Russia, le rispettive propagande hanno fornito immagini distorte degli sviluppi dei mesi scorsi in Ucraina, creando nelle opinioni pubbliche la confusa sensazione che l'aggressività dell'altra parte è stata rintuzzata e che se c'è del vasellame rotto la responsabilità è tutta di quella parte.
Da noi è diffusa una moderata soddisfazione: il presidente russo Vladimir Putin è stato fermato, l'economia russa soffre assai più della nostra per le sanzioni, il 95% dell'Ucraina è stato incorporato nell'orbita dell'Ue. L'Occidente avrebbe quindi vinto la partita geopolitica, nonché quella morale. Ma le cose stanno proprio così?
Armistizio sul Donbass
L'armistizio raggiunto sul fronte del Donbass ha certo evitato il peggio: la paventata conquista russa di un corridoio fra Donetsk e la Crimea. Il bilancio provvisorio del tentativo di soluzione militare deciso da Poroshenko è però pesantemente negativo per Kiev, e quello finale potrebbe essere ancora più disastroso in caso di rottura dell’imperfetta tregua.
Per Putin è stato un successo parziale su cui pesano le sanzioni. L'Europa pagherà un prezzo economico ancora più alto, perché alle conseguenze sulle nostre economie delle sanzioni e delle contromisure russe si aggiungerà l'onere di salvare dal fallimento l'Ucraina.
Inizialmente il sostegno militare russo ai ribelli non aveva preso la forma di un intervento massiccio e dichiarato, come fu quello del 2008 contro la Georgia, in una situazione analoga (in entrambi i casi lo Stato che attaccava una provincia secessionista difendeva legittimamente la propria integrità territoriale, ma sfidava la Russia), ma il 17 luglio scorso, l’abbattimento dell'aereo civile MH17 malese aveva aperto una nuova fase.
Lo sfruttamento propagandistico di quell'"incidente di percorso" da parte occidentale, il giro di vite sulle sanzioni, le bombe sulle città ribelli e soprattutto il rifiuto di Poroshenko di concedere uno status speciale alle regioni russofone e di rinunciare alla associazione alla Ue avevano spinto Putin a decidere un impiego non più dissimulato di truppe russe, alzando il tiro: non più solo rallentare l'avanzata delle forze ucraine, ma passare alla controffensiva aprendo un nuovo fronte più a Sud e minacciando la città di Mariupol.
Di fronte al rischio di amputazione di una striscia di territorio che collega il Donbass con la Crimea, e forse anche oltre, fino a Odessa e a congiungersi con la Transnistria, il presidente ucraino aveva dovuto accettare l'armistizio, cioè rinunciare alla riconquista dei territori orientali, promettendo loro un'ampia autonomia.
Al punto in cui sono giunte le cose, questa formula, più che indicare la prospettiva di una soluzione di compromesso, maschera il sostanziale distacco di quelle province.
Conflitto congelato
Nella migliore delle ipotesi, infatti, per uscire dal circolo vizioso delle sanzioni e dal piano inclinato verso una nuova guerra fredda, Mosca e l'Occidente si accorderanno per il congelamento della situazione sul terreno e l'avvio di un processo negoziale destinato a durare anni o decenni e imperniato sul mantra della "ampia autonomia" delle regioni filorusse, nel rispetto - formalmente - dell'integrità territoriale dell'Ucraina. La Crimea sarebbe un caso "sui generis".
Sia che si giunga ad un accordo su uno status di autonomia, inteso come mascheramento o anticamera della secessione, sia (come è più probabile) che una impasse negoziale consolidi di fatto la separazione, in ogni caso avremo nella regione Donetsk-Lugansk una situazione in tutto analoga a quella della "Repubblica di Transnistria" (confinante con l'Ucraina), sulla quale il governo di Chisinau non esercita da oltre due decenni alcuna autorità.
Analoga anche a quella della Abkhazia e della Sud-Ossezia prima del conflitto del 2008 quando queste due regioni (ex) georgiane hanno ottenuto dalla Russia il riconoscimento dell'indipendenza, nonché presidii militari.
Fermo restando che la Crimea è un caso speciale, l’annessione deve cioè rimanere una eccezione, Mosca appare orientata ad applicare alla "Novorossija" il modello Transnistria. Il modello Abkhazia rimarrebbe in riserva come punizione per eventuali iniziative avventate di Kiev, o come ritorsione contro mosse occidentali, o per soddisfare nuove fiammate nazionalistiche.
Francesco Bascone è Ambasciatore d’Italia.
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