Immigrazione Se l’Europa valorizzasse la mobilità dei migranti Enza Roberta Petrillo 26/10/2014 |
Coinvolgi, attiva, responsabilizza. La via promossa dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per valorizzazione l’immigrazione ha rappresentato il punto di riferimento dell’azione italiana in materia di migrazione e sviluppo.
Un approccio che dal 2003 ha puntato a restituire centralità al ruolo giocato dai migranti sia nei progetti di co-sviluppo e cooperazione decentrata che in quelli di investimento in attività produttive avviate nei paesi di provenienza.
Poco più di un decennio dall’avvio di quella strategia, un workshop promosso dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale ne ha esaminato approdi e prospettive con l’obiettivo di definire una road map per l’avvio dell’ agenda di sviluppo post-2015.
Immigrazione e sviluppo
In che modo l’immigrazione influenza i processi di sviluppo economici, sociali ed ambientali? Quali politiche sono necessarie per far sì che la mobilità crei sviluppo nei paesi di provenienza?
Questioni dibattute già da un decennio e che sono state rilette anche alla luce delle nuove dinamiche migratorie euro-africane.
Il numero crescente dei migranti forzati diretti in Europa segnala in modo netto che guardare soltanto alla dimensione economica non basta.
Per quanto decisivi, temi come la sinergia migrazione-sviluppo, la riduzione dei costi delle rimesse, la valorizzazione del ruolo delle migrazioni circolari, restano soltanto un tassello dell’azione richiesta alla comunità internazionale per fronteggiare le nuove configurazioni demografiche, sociali e geopolitiche che vanno prendendo piede.
Punto ribadito anche dal coordinamento di Organizzazioni non governative “Link 2007” che ha segnalato l’urgenza di una riflessione che tenga conto anche delle dinamiche che da qui a un trentennio prenderanno forma in Africa, il bacino d’eccellenza delle migrazioni dirette in Europa.
Crescita demografica africana
Per il 2050 le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite prevedono una crescita della popolazione africana dal miliardo di abitanti odierno, a più di 2,4 miliardi di persone. Tendenza che potrebbe veder raddoppiare la popolazione attiva compresa tra i 14 e i 65 anni, determinando un bacino potenziale di 700 milioni di persona in età lavorativa.
La crescita economica disomogenea del continente africano, e l’instabilità di molte delle strutture istituzionali dei suoi paesi, lascia prevedere che una parte consistente di queste persone continuerà a guardare all’Europa come un orizzonte possibile in cui capitalizzare la propria esperienza.
Proiezione che tira in ballo le politiche che l’Unione europea (Ue) e le sue cancellerie intendono mettere in atto per indirizzare il fenomeno non soltanto nei paesi di provenienza, ma anche nei paesi di arrivo.
“Non è pensabile alcun contributo alla valorizzazione dei migranti per lo sviluppo (nella duplice condizione di immigrati e di emigrati) se ad essi non vengono riconosciuti rispetto, accoglienza, diritti, integrazione, lavoro dignitoso, protezione politica e umanitaria, tutele e garanzie di sicurezza sociale”. Considerazione, quella di Link 2007 che sembra marcare la vera priorità dell’azione post-2015: lo sviluppo di politiche coerenti, sia a livello Ue che a livello multilaterale.
Strabismo europeo
Dieci anni dopo il varo di strategie come quelle dei corridoi migratori tra paesi di provenienza e destinazione, volti a stimolare in un’ottica di co-sviluppo gli investimenti dei migranti e lo sviluppo di relazioni commerciali circolari, i paesi europei sembrano infatti aver soppiantato la dimensione umana della mobilità con quella economica.
Una condotta strabica basata da un lato sull’intento di promuovere le relazioni economiche tra i due continenti, dall’altro su quello di rafforzare i dispositivi di controllo in entrata, riducendo in maniera netta le possibilità di piena inclusione dei migranti nei paesi di arrivo.
Se l’Europa vorrà segnare un cambio di rotta nel dibattito multilaterale che sta precedendo il lancio dell’Agenda per lo sviluppo post- 2015 deve partire dalla valorizzazione effettiva, non solo dichiarata, della mobilità migrante e delle politiche di integrazione a essa legate. Una svolta possibile solo se si sceglierà di mettere in sinergia le politiche di cooperazione e sviluppo con quelle sull’immigrazione.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc, Università La Sapienza di Roma; esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri
(enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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Un approccio che dal 2003 ha puntato a restituire centralità al ruolo giocato dai migranti sia nei progetti di co-sviluppo e cooperazione decentrata che in quelli di investimento in attività produttive avviate nei paesi di provenienza.
Poco più di un decennio dall’avvio di quella strategia, un workshop promosso dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale ne ha esaminato approdi e prospettive con l’obiettivo di definire una road map per l’avvio dell’ agenda di sviluppo post-2015.
Immigrazione e sviluppo
In che modo l’immigrazione influenza i processi di sviluppo economici, sociali ed ambientali? Quali politiche sono necessarie per far sì che la mobilità crei sviluppo nei paesi di provenienza?
Questioni dibattute già da un decennio e che sono state rilette anche alla luce delle nuove dinamiche migratorie euro-africane.
Il numero crescente dei migranti forzati diretti in Europa segnala in modo netto che guardare soltanto alla dimensione economica non basta.
Per quanto decisivi, temi come la sinergia migrazione-sviluppo, la riduzione dei costi delle rimesse, la valorizzazione del ruolo delle migrazioni circolari, restano soltanto un tassello dell’azione richiesta alla comunità internazionale per fronteggiare le nuove configurazioni demografiche, sociali e geopolitiche che vanno prendendo piede.
Punto ribadito anche dal coordinamento di Organizzazioni non governative “Link 2007” che ha segnalato l’urgenza di una riflessione che tenga conto anche delle dinamiche che da qui a un trentennio prenderanno forma in Africa, il bacino d’eccellenza delle migrazioni dirette in Europa.
Crescita demografica africana
Per il 2050 le proiezioni demografiche delle Nazioni Unite prevedono una crescita della popolazione africana dal miliardo di abitanti odierno, a più di 2,4 miliardi di persone. Tendenza che potrebbe veder raddoppiare la popolazione attiva compresa tra i 14 e i 65 anni, determinando un bacino potenziale di 700 milioni di persona in età lavorativa.
La crescita economica disomogenea del continente africano, e l’instabilità di molte delle strutture istituzionali dei suoi paesi, lascia prevedere che una parte consistente di queste persone continuerà a guardare all’Europa come un orizzonte possibile in cui capitalizzare la propria esperienza.
Proiezione che tira in ballo le politiche che l’Unione europea (Ue) e le sue cancellerie intendono mettere in atto per indirizzare il fenomeno non soltanto nei paesi di provenienza, ma anche nei paesi di arrivo.
“Non è pensabile alcun contributo alla valorizzazione dei migranti per lo sviluppo (nella duplice condizione di immigrati e di emigrati) se ad essi non vengono riconosciuti rispetto, accoglienza, diritti, integrazione, lavoro dignitoso, protezione politica e umanitaria, tutele e garanzie di sicurezza sociale”. Considerazione, quella di Link 2007 che sembra marcare la vera priorità dell’azione post-2015: lo sviluppo di politiche coerenti, sia a livello Ue che a livello multilaterale.
Strabismo europeo
Dieci anni dopo il varo di strategie come quelle dei corridoi migratori tra paesi di provenienza e destinazione, volti a stimolare in un’ottica di co-sviluppo gli investimenti dei migranti e lo sviluppo di relazioni commerciali circolari, i paesi europei sembrano infatti aver soppiantato la dimensione umana della mobilità con quella economica.
Una condotta strabica basata da un lato sull’intento di promuovere le relazioni economiche tra i due continenti, dall’altro su quello di rafforzare i dispositivi di controllo in entrata, riducendo in maniera netta le possibilità di piena inclusione dei migranti nei paesi di arrivo.
Se l’Europa vorrà segnare un cambio di rotta nel dibattito multilaterale che sta precedendo il lancio dell’Agenda per lo sviluppo post- 2015 deve partire dalla valorizzazione effettiva, non solo dichiarata, della mobilità migrante e delle politiche di integrazione a essa legate. Una svolta possibile solo se si sceglierà di mettere in sinergia le politiche di cooperazione e sviluppo con quelle sull’immigrazione.
Enza Roberta Petrillo è ricercatrice post-doc, Università La Sapienza di Roma; esperta di politica e geopolitica est-europea, si occupa dell’analisi dei flussi migratori con particolare attenzione al ruolo svolto dalla criminalità organizzata transnazionale nei traffici illeciti transfrontalieri
(enzaroberta.petrillo@uniroma1.it).
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