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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

sabato 29 giugno 2024

Antonio TRogu. La contrapposizione USA URSS nella corsa al nucleare

 


Tra il 1946 e il 1958 gli Stati Uniti provocarono decine di esplosioni nucleari nell'atollo di Bikini.  La guerra fredda era ormai inequivocabilmente cominciata e i sovietici non tardarono a compensare il gap che li separava dagli americani. Nel 1949 l’URSS sperimentò la sua prima bomba atomica nel poligono siberiano nucleare di Semipalatinsk, nei pressi della città chiusa di Kurchatov.

 Inizia a questo punto una corsa al rilancio, sul piano tecnologico, che andrà avanti, ufficialmente, fino alla caduta del muro di Berlino, ma che in realtà continua tutt’ora. Nell'immediato dopoguerra l'arma atomica fu acquisita da tutte le principali potenze mondiali (Regno Unito - 1952, Francia - 1960, Cina - 1964), inoltre le armi nucleari divennero sempre più complesse dando origine ad una varietà di ordigni.

Ma la vera “rivoluzione” si sarebbe avuta coniugando il potenziale distruttivo della bomba all’idrogeno (bomba H, o “termonucleare”) all’invulnerabilità di un missile balistico, il quale avrebbe aggirato qualunque difesa contro-aerea colpendo inevitabilmente il bersaglio, con danni pressoché incalcolabili, determinando quindi una distinzione “qualitativa” tra armi nucleari e armi convenzionali.

Ma una prima avvisaglia sui potenziali pericoli circa l'impiego di armi nucleari c'era già stata durante la guerra di Corea, quando il generale MacArthur aveva cercato inutilmente di far accettare la sua proposta di utilizzare l'atomica sulla Cina. Intanto nuove armi nucleari, come la temuta bomba all'idrogeno, erano diventate realtà; l'Unione Sovietica nell’agosto del 1953, fece esplodere per prima nell’atmosfera due bombe all’idrogeno,di potenza limitata a 400 kilotoni. Gli Stati Uniti fra il febbraio ed il maggio 1954 effettuarono sei esplosioni sperimentali di bombe all’idrogeno già provate in laboratorio nel 1952, la prima di queste aveva una potenza di 15 megatoni.[1]

I successivi avvenimenti geopolitici, culminati con l'episodio della Baia dei Porci (1961), in cui un gruppo di esuli cubani finanziati dalla CIA tentò di invadere l'isola di Cuba fecero precipitare i rapporti tra le superpotenze USA e URSS, tanto che il presidente John Fitzgerald Kennedy, in un discorso alla nazione americana del 6 ottobre 1961, raccomandò vivamente alla popolazione di procedere celermente alla costruzione di rifugi antiatomici, non potendo lo Stato farsi carico della salvezza e della protezione di ogni singolo cittadino. Egli stesso ebbe il proprio bunker personale, localizzato a Peanut Island, nella contea di Palm Beach in Florida. Sempre nello stesso anno l'URSS, peraltro, aveva fatto esplodere una bomba all'idrogeno con un potenziale superiore di quasi cinquemila volte all'atomica sganciata su Hiroshima.

2.2. Armi nucleari tattiche e guerra nucleare limitata

La mancanza di volontà di utilizzare armi nucleari strategiche (ovvero con effetti distruttivi pressoché incalcolabili) in caso di attacco sovietico contro gli alleati europei, combinata alla necessità di rassicurare comunque questi ultimi sulla disponibilità degli americani a far ricorso al proprio arsenale nucleare, qualora il loro territorio fosse stato attaccato, spinse gli Stati Uniti ad elaborare armi e strategie per una guerra nucleare limitata. È in quest’ottica che vennero sviluppate le armi nucleari tattiche (o “da teatro”, o “da campo di battaglia”); armi a corto raggio dal potenziale distruttivo più contenuto rispetto a quelle strategiche. La seconda metà degli anni ’50 vide l’ascesa e subito dopo il declino (almeno sul piano concettuale) di questo orientamento: il valore eminentemente difensivo attribuito inizialmente a queste armi, che sarebbero state utilizzate contro i contingenti nemici prossimi ad invadere i Paesi alleati, venne successivamente messo in discussione dalla considerazione che proprio il nemico avrebbe potuto utilizzarle invece in maniera offensiva per aprire la strada alle sue truppe; inoltre l’argomento secondo il quale il ridotto potenziale distruttivo di queste armi le avrebbe rese idonee ad essere utilizzate senza eccessivi danni per i civili apparve subito discutibile. Il potenziale distruttivo e soprattutto gli effetti ritardati erano troppo devastanti perché potessero essere utilizzate come armi convenzionali “un po’ più potenti”, in particolare nelle aree densamente popolate dell’Europa occidentale coinvolte da una eventuale invasione sovietica. La distinzione tra armi nucleari strategiche e tattiche, se pure interessante sul piano teorico, si rivelava di fatto irrealizzabile sul piano pratico. Le armi tattiche tuttavia continuarono ad essere protagoniste del dibattito nucleare per i decenni successivi sostanzialmente per due motivi: 1) anche i sovietici avevano sviluppato un loro programma di armi nucleari tattiche, quindi, non fosse altro che per ragioni di equilibrio, era opportuno mantenerle; 2) rappresentavano comunque la garanzia, per gli alleati europei, dell’intenzione degli Stati Uniti a far ricorso al proprio arsenale nucleare per difenderli.

Il problema che a questo punto si presentò  agli strateghi nucleari per tutti gli anni ’50, fu il seguente: se un attacco con armi nucleari fosse effettivamente accettabile qualora in grado di distruggere le capacità di rappresaglia nucleare del nemico; cosa succede se ciò non avviene e ci si espone alla rappresaglia potenzialmente devastante di quest'ultimo? Ecco che l’ipotesi dell’attacco preventivo, volto a distruggere a terra le forze di rappresaglia nemiche, non appare più attuabile.  La rincorsa, da parte di entrambe le super-potenze, al raggiungimento di una supremazia nelle armi di “primo colpo”, accompagnata dalla paura reciproca che “l’altra” potesse raggiungerla per prima, rendevano pericolosamente aleatorio il controllo effettivo di un confronto nucleare a distanza. In caso di squilibrio a vantaggio di una delle due parti, il rischio di utilizzo del proprio arsenale nucleare di “primo colpo” sarebbe diventato concreto. La super-potenza che avesse raggiunto la supremazia avrebbe potuto sfruttare il vantaggio, quella rimasta indietro avrebbe cercato di “bruciare sul tempo” il nemico con un attacco preventivo, impedendogli così di avvalersi del vantaggio raggiunto. Che questa logica, molto cinica, potesse condurre i due contendenti, “loro malgrado”, ad uno scontro nucleare, fece emergere prepotentemente l’importanza del concetto di stabilità e di stallo nucleare, in virtù del quale entrambe le potenze dovevano possedere armi di rappresaglia invulnerabili. In sostanza, il possesso di armi di rappresaglia invulnerabili costituiva paradossalmente la garanzia di sicurezza e, pertanto, “tranquillizzare” il nemico circa l’invulnerabilità del suo arsenale di rappresaglia nucleare era importante tanto quanto assicurarsi l’invulnerabilità del proprio arsenale (un nemico “tranquillo” è un nemico meno pericoloso).

 



[1] Ennio Di Rolfo Storia delle relazioni internazionali: II. Gli anni della guerra fredda 1946-1990 Edizioni Laterza

 

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