domenica 24 dicembre 2023
martedì 19 dicembre 2023
Pensiero unico nel pluralismo di una Europa unificata
Sergio Benedetto
Sabetta
Vi è
attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei
termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa dovrebbe essere? Vi
sono una pluralità di visioni, ognuna frutto di interessi, storie e culture
differenti ma strettamente intrecciate tra loro, in cui secondo il punto di
vista si possono sottolineare le differenze o le similitudini, una parentela tendenzialmente
litigiosa ma obbligata a convivere per storia e ristrettezza dei luoghi,
avvolta in un continuo scambio culturale.
La
centralità della Germania sia in termini geo-strategici che economici, il suo
peso nei confronti dei vicini ma anche la sua storia recente del Novecento,
crea aspettative, inquietudini e dubbi, da una parte si vorrebbe che prendesse
delle posizioni più decise, chiare e mettesse la sua forza economica a
disposizione dell’Unione, dall’altra vi è un timore che debordi schiacciando
gli alleati, creando malessere, nella difficoltà
di riportare la sua concezione austera e comunitaria dell’economia con quella
mediterranea del disavanzo collettivo a beneficio dell’individualismo familiare.
Gli Stati
Uniti a loro volta, da protettori di una U.E. utile agli scambi economici e quale
bastione contro il blocco orientale guidato dall’U.R.S.S., hanno acquisito una
certa indifferenza strategica mista a diffidenza per il forte surplus
commerciale della Germania.
Anche il rapporto con la Russia e la
Cina da parte dell’U.E. sono oggetto di attenzione e incomprensione, alcuni
problemi finanziari e di destabilizzazione dell’area del Mediterraneo, con i
loro strascichi immigratori, non appaiono essere estranei quali risultati di
manovre oltreoceano, l’Italia come pedina nei rapporti tra l’area germanica e
gli U.S.A.
La Banca
centrale europea (BCE), quale clone della Bundesbank, ne ha ereditato la
cultura della stabilità fondata sulla bassa inflazione e la stabilità del
cambio, elementi inseriti in statuto, l’austerità contabile che ne è conseguita
alla crisi del 2008 tende a scaricare sugli Stati Uniti l’onere della ripresa,
con profonde problematiche per le aree periferiche, le cui difficoltà aumentano
il potere del centro moderando ulteriormente l’inflazione e la diffidenza sia
degli U.S.A. che di altre aree dell’U. E.
Solo la Francia forte del suo peso
strategico resiste ad una accentuata austerità, ondeggiando nel suo rapporto
con Berlino per la quale l’asse Parigi - Berlino è fondamentale per la
stabilizzazione dell’U.E.
La Francia
da parte sua ha teso a compensare il dinamismo economico tedesco con la potenza
militare e l’attività diplomatica, ma le crisi che si sono succedute dai primi
anni Duemila con il rigetto da parte francese nel 2005 della costituzione
europea, l’eccesso di tecnocrazia imposto all’U.E. con il Trattato di Lisbona
del 2006, la crisi finanziaria del 2008, la non brillante gestione della
primavera araba nel 2011, con la successiva collegata crisi migratoria, e le
recenti crisi della pandemia e della guerra in Ucraina hanno reso evidenti
oltre ai limiti francesi anche quelli dell’Unione, obbligando Berlino e Parigi
a riconsiderare i loro rapporti, ancor più nel momento in cui la crisi europea
si era già manifestata con la Brexit
della Gran Bretagna.
L’uscita
dell’Inghilterra dall’U.E. e le difficoltà francesi nel gestire militarmente e
diplomaticamente le crisi e i conflitti alla periferia dell’Unione, per non
parlare della guerra all’Est, hanno dato nuova valenza al progetto “Ankerarmee” elaborato a Berlino e
proposto alla conferenza della Sicurezza di Monaco del 31/1/2014.
Vi è la necessità ed opportunità di
un maggiore impegno nella difesa comune, considerato il peso economico e
geopolitico, ma vi è anche il rischio di creare tensioni vista la memoria
storica, nasce pertanto la necessità di appoggiarsi sulla Francia per
stemperare i timori ed evitare futuri conflitti, ma anche di mantenere una
fedeltà alla Nato e cercare di continuare a coinvolgere la Gran Bretagna.
L’impegno
militare non può che accrescersi gradualmente evitando pericolosi eccessi, che
destabilizzano tanto gli equilibri con gli altri partner dell’Unione che
all’interno della stessa Repubblica Federale, dove è cresciuta una cultura che
delega la difesa all’esterno con i relativi costi, concentrandosi solo sugli
aspetti economici della produzione ed export.
Una cultura che con il tempo da
punitiva e contenitiva si è rivelata conveniente alla nuova economia globale,
eliminando parte delle spese militari improduttive e concentrando ricerca e
sviluppo sull’export, fino ad esplodere con la fine della Guerra fredda.
Nonostante
la diffidenza l’offerta di Berlino di diventare “Ankerarmee” (esercito àncora),
in modo da ottenere delle forze armate continentali specializzate per settori e
con un potenziale industriale - militare autonomo, è stato già accolto da
alcuni Stati dell’area germanica quali i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Ancora più interessante è
l’istituzione dall’aprile del 2017 del Kommando
Cyber und Informationsraum (Comando
cibernetico e dello spazio informativo), con
base a Bonn, con il compito di ciberdifesa ed in futuro di sviluppare
una potenzialità offensiva quale alternativa al potenziale nucleare.
In questi
scenari il “gruppo di Visagrad”, nel
raccogliere quattro paesi dell’ex patto di Varsavia, si pone quale gruppo di
pressione all’interno dell’Unione tra l’area occidentale e quella russa,
depositari di una propria storia drammatica del Novecento e di una cultura
condivisa sui valori e sui diritti forgiata dai drammi del secolo di ferro, d’altronde
l’U.E. ha due linee di frattura: una ad Oriente con il mondo Russo e l’altra
a Sud nel Mediterraneo, linee che si saldano nel Medio Oriente, di cui il mondo
balcanico nella sua frammentazione ne è una rappresentazione.
Il
Mediterraneo considerato da sempre elemento di instabilità per il confluire e
il raffrontarsi di culture diverse, interessi confliggenti e incrociarsi di vie
di comunicazione, è per l’Europa una soglia estremamente delicata, i cui paesi
europei che su di esso si affacciano possiedono una fragilità strutturale ed
una cultura alternativa a quella del Nord.
La Spagna è stata vista dalla
Germania, per un certo lasso di tempo, quale possibile alternativa all’Italia
nel bacino del Mediterraneo, al fine di una eventuale stabilizzazione e
integrazione dell’area, ma la speranza è andata a spegnersi a causa delle
tensioni interne e delle crisi economiche, mentre la Grecia è finita
commissariata.
Resta l’Italia con la sua storia
particolare quale unico paese immerso nel Mediterraneo, vi è tuttavia una
fragilità strutturale dello stesso dato dalle divisioni interne dovute anche dalle
sue differenze storico – culturali, ulteriormente accentuatesi in questo
momento di crisi.
Già Luttwak prevedeva negli anni Novanta del
secolo scorso il sovrapporsi del conflitto geo-economico al classico conflitto
militare, un conflitto che si apriva anche tra gli ex alleati del fronte
occidentale così da superare “la visione
serafica dell’Europa di Maastricht
propagandata dal massimalismo europeista”(87, L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra
mondiale , Laterza, 1996).
L’Italia in questi nuovi scenari assumeva una
visione universalistica tra una agenzia dell’ONU e la C.R.I. (1), senza una
politica estera ben definita, seguendo la politica già perseguita durante la
guerra fredda di un basso profilo militare, adeguandosi al clima politico e
sociale esistente prevalentemente pacifista e ripiegato sulle dinamiche
interne, tale da trasformare l’Italia in un possibile campo di battaglia socio-economico
per Stati e potentati esteri, come nel XVI secolo in cui ad una ricchezza
culturale ed economica corrispondeva una debolezza politico-amministrativa (2).
L’Italia
risulta quindi essere stretta tra
Germania e Stati Uniti, sottoposta a facili pressioni internazionali sia
dirette che indirette, basti pensare alle ripetute crisi finanziarie del debito
pubblico, alle pressioni migratorie e alle infiltrazioni cinese e russe, con
una politica estera indecisa, in affanno nella difesa del proprio capitale
industriale, percorsa da fremiti pacifisti, terzomondisti e idealisti nel
pubblico ma fortemente individualista nel privato, sostanzialmente
delocalizzata nel proprio intimo e quindi nell’impossibilità di inserirsi, se
non occasionalmente, sia nel triangolo Parigi-Londra-Berlino che nel duopolio
Parigi-Berlino, non in grado di assumere una politica europea coerente ed erede
di una cultura in cui la “commendatio”
è parte del proprio essere.
Le tensioni
e i conflitti finora descritti, sia interni tra visioni politiche differenti,
che esterne, secondo un arco di crisi che va dal Baltico al Mediterraneo per
estendersi all’Atlantico, hanno fatto sì che in mancanza di una forte
legittimazione politica derivante dal voto delle popolazioni europee, prevalessero
le tecnostrutture di Bruxelles e della BCE, espressione delle maggiori forze
nazionali europee, creando dei poli naturali obbligati , ma mettendo a rischio
nel tempo la tenuta della stessa U.E., non resta che rifarsi alla storia
dell’Europa.
Togliendo la
struttura variabile propria della costruzione politica dell’Impero romano, già
il cristianesimo ha originariamente manifestato una marcata autonomia culturale
tra le diverse comunità, una fluidità istituzionale con centri direttivi
paritari, dove esistevano “le Chiese” e non “la Chiesa”, solo lentamente si
formò una struttura istituzionale più accentrata, ma comunque mai come quella
che emerse dal Concilio tridentino nel XVI secolo.
Ne sono testimoni i vari concili
ecumenici che si susseguirono nel IV e V secolo, tutti orientati per il
prevalere politico della parte orientale dell’Impero, a cui si affiancarono i
concili locali provinciali, ma anche alla dissoluzione dell’Impero d’Occidente
una costellazione di regni romano-barbarici diedero origine ad una variabile
notevole nei rapporti interni tra popolazione ed esterni con l’autorità formale
dell’Impero, per non scordare dell’articolazione del Sacro Romano Impero e
delle trasformazioni subite nella sua millenaria storia fino allo scioglimento
napoleonico, come anche della pluralità dell’Impero asburgico.
Vi è in
altre parole nella genetica dell’Europa una varietà di forme e culture che ne
determinarono una apparente fragilità ma che costituiscono quell’intreccio che
ne rende resistente la matrice alle perdite e alle aggressioni, impedendo la
nascita di un pensiero unico ma l’esistenza di una serie di pensieri complementari
in osmosi fra essi.
Occorre pertanto evitare che il
prevalere di una tecnostruttura autoreferente, non legittimata dalle
popolazioni, conduca al dissolvimento dell’Unione per un autoritarismo
implicito che tenda ad appiattire le comunità su un’unica visione prevalente,
l’amalgama ci sarà ma avverrà spontaneamente e nei modi differenti da luogo a
luogo, né devono trarre in inganno i facili entusiasmi dei momenti di crescita
in quanto è nelle crisi che si vede la bontà di una costruzione.
BIBLIOGRAFIA
1. JEAN C., Geopolitica, Laterza, 1995;
2. Di Nolfo E., Storia delle relazioni
internazionali 1918-1992, Laterza, 1994; Romano S., Lo scambio ineguale,
Laterza, 1995;
3. AA.VV., U.S.A. – Germania duello per
l’Europa, in Limes, 5/2017.