domenica 24 dicembre 2023
martedì 19 dicembre 2023
Pensiero unico nel pluralismo di una Europa unificata
Sergio Benedetto
Sabetta
Vi è
attualmente una notevole difficoltà nel pensare il concetto di Europa nei
termini socio-politici di U.E., che cosa è l’Europa? Cosa dovrebbe essere? Vi
sono una pluralità di visioni, ognuna frutto di interessi, storie e culture
differenti ma strettamente intrecciate tra loro, in cui secondo il punto di
vista si possono sottolineare le differenze o le similitudini, una parentela tendenzialmente
litigiosa ma obbligata a convivere per storia e ristrettezza dei luoghi,
avvolta in un continuo scambio culturale.
La
centralità della Germania sia in termini geo-strategici che economici, il suo
peso nei confronti dei vicini ma anche la sua storia recente del Novecento,
crea aspettative, inquietudini e dubbi, da una parte si vorrebbe che prendesse
delle posizioni più decise, chiare e mettesse la sua forza economica a
disposizione dell’Unione, dall’altra vi è un timore che debordi schiacciando
gli alleati, creando malessere, nella difficoltà
di riportare la sua concezione austera e comunitaria dell’economia con quella
mediterranea del disavanzo collettivo a beneficio dell’individualismo familiare.
Gli Stati
Uniti a loro volta, da protettori di una U.E. utile agli scambi economici e quale
bastione contro il blocco orientale guidato dall’U.R.S.S., hanno acquisito una
certa indifferenza strategica mista a diffidenza per il forte surplus
commerciale della Germania.
Anche il rapporto con la Russia e la
Cina da parte dell’U.E. sono oggetto di attenzione e incomprensione, alcuni
problemi finanziari e di destabilizzazione dell’area del Mediterraneo, con i
loro strascichi immigratori, non appaiono essere estranei quali risultati di
manovre oltreoceano, l’Italia come pedina nei rapporti tra l’area germanica e
gli U.S.A.
La Banca
centrale europea (BCE), quale clone della Bundesbank, ne ha ereditato la
cultura della stabilità fondata sulla bassa inflazione e la stabilità del
cambio, elementi inseriti in statuto, l’austerità contabile che ne è conseguita
alla crisi del 2008 tende a scaricare sugli Stati Uniti l’onere della ripresa,
con profonde problematiche per le aree periferiche, le cui difficoltà aumentano
il potere del centro moderando ulteriormente l’inflazione e la diffidenza sia
degli U.S.A. che di altre aree dell’U. E.
Solo la Francia forte del suo peso
strategico resiste ad una accentuata austerità, ondeggiando nel suo rapporto
con Berlino per la quale l’asse Parigi - Berlino è fondamentale per la
stabilizzazione dell’U.E.
La Francia
da parte sua ha teso a compensare il dinamismo economico tedesco con la potenza
militare e l’attività diplomatica, ma le crisi che si sono succedute dai primi
anni Duemila con il rigetto da parte francese nel 2005 della costituzione
europea, l’eccesso di tecnocrazia imposto all’U.E. con il Trattato di Lisbona
del 2006, la crisi finanziaria del 2008, la non brillante gestione della
primavera araba nel 2011, con la successiva collegata crisi migratoria, e le
recenti crisi della pandemia e della guerra in Ucraina hanno reso evidenti
oltre ai limiti francesi anche quelli dell’Unione, obbligando Berlino e Parigi
a riconsiderare i loro rapporti, ancor più nel momento in cui la crisi europea
si era già manifestata con la Brexit
della Gran Bretagna.
L’uscita
dell’Inghilterra dall’U.E. e le difficoltà francesi nel gestire militarmente e
diplomaticamente le crisi e i conflitti alla periferia dell’Unione, per non
parlare della guerra all’Est, hanno dato nuova valenza al progetto “Ankerarmee” elaborato a Berlino e
proposto alla conferenza della Sicurezza di Monaco del 31/1/2014.
Vi è la necessità ed opportunità di
un maggiore impegno nella difesa comune, considerato il peso economico e
geopolitico, ma vi è anche il rischio di creare tensioni vista la memoria
storica, nasce pertanto la necessità di appoggiarsi sulla Francia per
stemperare i timori ed evitare futuri conflitti, ma anche di mantenere una
fedeltà alla Nato e cercare di continuare a coinvolgere la Gran Bretagna.
L’impegno
militare non può che accrescersi gradualmente evitando pericolosi eccessi, che
destabilizzano tanto gli equilibri con gli altri partner dell’Unione che
all’interno della stessa Repubblica Federale, dove è cresciuta una cultura che
delega la difesa all’esterno con i relativi costi, concentrandosi solo sugli
aspetti economici della produzione ed export.
Una cultura che con il tempo da
punitiva e contenitiva si è rivelata conveniente alla nuova economia globale,
eliminando parte delle spese militari improduttive e concentrando ricerca e
sviluppo sull’export, fino ad esplodere con la fine della Guerra fredda.
Nonostante
la diffidenza l’offerta di Berlino di diventare “Ankerarmee” (esercito àncora),
in modo da ottenere delle forze armate continentali specializzate per settori e
con un potenziale industriale - militare autonomo, è stato già accolto da
alcuni Stati dell’area germanica quali i Paesi Bassi e la Repubblica Ceca.
Ancora più interessante è
l’istituzione dall’aprile del 2017 del Kommando
Cyber und Informationsraum (Comando
cibernetico e dello spazio informativo), con
base a Bonn, con il compito di ciberdifesa ed in futuro di sviluppare
una potenzialità offensiva quale alternativa al potenziale nucleare.
In questi
scenari il “gruppo di Visagrad”, nel
raccogliere quattro paesi dell’ex patto di Varsavia, si pone quale gruppo di
pressione all’interno dell’Unione tra l’area occidentale e quella russa,
depositari di una propria storia drammatica del Novecento e di una cultura
condivisa sui valori e sui diritti forgiata dai drammi del secolo di ferro, d’altronde
l’U.E. ha due linee di frattura: una ad Oriente con il mondo Russo e l’altra
a Sud nel Mediterraneo, linee che si saldano nel Medio Oriente, di cui il mondo
balcanico nella sua frammentazione ne è una rappresentazione.
Il
Mediterraneo considerato da sempre elemento di instabilità per il confluire e
il raffrontarsi di culture diverse, interessi confliggenti e incrociarsi di vie
di comunicazione, è per l’Europa una soglia estremamente delicata, i cui paesi
europei che su di esso si affacciano possiedono una fragilità strutturale ed
una cultura alternativa a quella del Nord.
La Spagna è stata vista dalla
Germania, per un certo lasso di tempo, quale possibile alternativa all’Italia
nel bacino del Mediterraneo, al fine di una eventuale stabilizzazione e
integrazione dell’area, ma la speranza è andata a spegnersi a causa delle
tensioni interne e delle crisi economiche, mentre la Grecia è finita
commissariata.
Resta l’Italia con la sua storia
particolare quale unico paese immerso nel Mediterraneo, vi è tuttavia una
fragilità strutturale dello stesso dato dalle divisioni interne dovute anche dalle
sue differenze storico – culturali, ulteriormente accentuatesi in questo
momento di crisi.
Già Luttwak prevedeva negli anni Novanta del
secolo scorso il sovrapporsi del conflitto geo-economico al classico conflitto
militare, un conflitto che si apriva anche tra gli ex alleati del fronte
occidentale così da superare “la visione
serafica dell’Europa di Maastricht
propagandata dal massimalismo europeista”(87, L. Incisa di Camerana, La vittoria dell’Italia nella terza guerra
mondiale , Laterza, 1996).
L’Italia in questi nuovi scenari assumeva una
visione universalistica tra una agenzia dell’ONU e la C.R.I. (1), senza una
politica estera ben definita, seguendo la politica già perseguita durante la
guerra fredda di un basso profilo militare, adeguandosi al clima politico e
sociale esistente prevalentemente pacifista e ripiegato sulle dinamiche
interne, tale da trasformare l’Italia in un possibile campo di battaglia socio-economico
per Stati e potentati esteri, come nel XVI secolo in cui ad una ricchezza
culturale ed economica corrispondeva una debolezza politico-amministrativa (2).
L’Italia
risulta quindi essere stretta tra
Germania e Stati Uniti, sottoposta a facili pressioni internazionali sia
dirette che indirette, basti pensare alle ripetute crisi finanziarie del debito
pubblico, alle pressioni migratorie e alle infiltrazioni cinese e russe, con
una politica estera indecisa, in affanno nella difesa del proprio capitale
industriale, percorsa da fremiti pacifisti, terzomondisti e idealisti nel
pubblico ma fortemente individualista nel privato, sostanzialmente
delocalizzata nel proprio intimo e quindi nell’impossibilità di inserirsi, se
non occasionalmente, sia nel triangolo Parigi-Londra-Berlino che nel duopolio
Parigi-Berlino, non in grado di assumere una politica europea coerente ed erede
di una cultura in cui la “commendatio”
è parte del proprio essere.
Le tensioni
e i conflitti finora descritti, sia interni tra visioni politiche differenti,
che esterne, secondo un arco di crisi che va dal Baltico al Mediterraneo per
estendersi all’Atlantico, hanno fatto sì che in mancanza di una forte
legittimazione politica derivante dal voto delle popolazioni europee, prevalessero
le tecnostrutture di Bruxelles e della BCE, espressione delle maggiori forze
nazionali europee, creando dei poli naturali obbligati , ma mettendo a rischio
nel tempo la tenuta della stessa U.E., non resta che rifarsi alla storia
dell’Europa.
Togliendo la
struttura variabile propria della costruzione politica dell’Impero romano, già
il cristianesimo ha originariamente manifestato una marcata autonomia culturale
tra le diverse comunità, una fluidità istituzionale con centri direttivi
paritari, dove esistevano “le Chiese” e non “la Chiesa”, solo lentamente si
formò una struttura istituzionale più accentrata, ma comunque mai come quella
che emerse dal Concilio tridentino nel XVI secolo.
Ne sono testimoni i vari concili
ecumenici che si susseguirono nel IV e V secolo, tutti orientati per il
prevalere politico della parte orientale dell’Impero, a cui si affiancarono i
concili locali provinciali, ma anche alla dissoluzione dell’Impero d’Occidente
una costellazione di regni romano-barbarici diedero origine ad una variabile
notevole nei rapporti interni tra popolazione ed esterni con l’autorità formale
dell’Impero, per non scordare dell’articolazione del Sacro Romano Impero e
delle trasformazioni subite nella sua millenaria storia fino allo scioglimento
napoleonico, come anche della pluralità dell’Impero asburgico.
Vi è in
altre parole nella genetica dell’Europa una varietà di forme e culture che ne
determinarono una apparente fragilità ma che costituiscono quell’intreccio che
ne rende resistente la matrice alle perdite e alle aggressioni, impedendo la
nascita di un pensiero unico ma l’esistenza di una serie di pensieri complementari
in osmosi fra essi.
Occorre pertanto evitare che il
prevalere di una tecnostruttura autoreferente, non legittimata dalle
popolazioni, conduca al dissolvimento dell’Unione per un autoritarismo
implicito che tenda ad appiattire le comunità su un’unica visione prevalente,
l’amalgama ci sarà ma avverrà spontaneamente e nei modi differenti da luogo a
luogo, né devono trarre in inganno i facili entusiasmi dei momenti di crescita
in quanto è nelle crisi che si vede la bontà di una costruzione.
BIBLIOGRAFIA
1. JEAN C., Geopolitica, Laterza, 1995;
2. Di Nolfo E., Storia delle relazioni
internazionali 1918-1992, Laterza, 1994; Romano S., Lo scambio ineguale,
Laterza, 1995;
3. AA.VV., U.S.A. – Germania duello per
l’Europa, in Limes, 5/2017.
domenica 10 dicembre 2023
mercoledì 29 novembre 2023
MOSCA E LA SUA POLITICA DI PENETRAZIONE IN AFRICA
Fonte: LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA, AGOSTO 2023 AFRICA CONTRO OCCIDENTE
La guerra in Ucraina lo stallo che ne è seguito, la rivolta dei Wagner e la perdita di peso specifico della Russia aggiunto al fatto che il regime delle sanzioni ancora è in atto hanno sicuramente influenzato la politica di penetrazione in Africa della Russia. La ricerca di spazio politico, più che di risorge sia energetiche che strategiche, di cui la Russia non ne ha bisogno, fanno si che in Africa Mosca può risalire la china della credibilità come attore internazionale che le vicende ucraine hanno minato.
(www.unucisano.it/biblioteca)
domenica 19 novembre 2023
EUROPA ED AFRICA SECONDO I PRINCIPI DI BRUXELLES
Fonte: LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA, AGOSTO 2023 AFRICA CONTRO OCCIDENTE
LA AARTA MOSTRA GLI STATI AFRICANI CHE IN VARIA MISURA E PARTE ERANO ASSOCIATI ALLA COMUNITà EUROPEA ALLA FINE DEL SECOLO SCORSO. IL RETAGGIO DI QUELLE INIZIATIVE ANCORA OGGI è PRESENTE NELLE RELAZIONI ERUOPA-AFRICA, MA DA PARTE AFRICANA SPESSO E' CONFUSO COME UNA FORMA PIU' RAFFINATA DI COLONIALISMO
giovedì 9 novembre 2023
La Russia e la sua posizione geostrategica attuale
martedì 31 ottobre 2023
La formazione dello Stato Austriaco Un esempio e monito per l'Europa
Ten. cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Premessa
Nell’
attuale guerra in Ucraina si sono rivelate le dissonanze nell’U.E., Washington
nel fornire armi e appoggio diplomatico a Kiev ha chiaramente indicato nell’
U.E. il soggetto che dovrebbe gestire primariamente il conflitto, essendo per
gli U.S.A. il Pacifico, ossia la Cina, il fronte principale dove concentrare
l’attenzione e le risorse attualmente disponibili.
L’azione combinata
della Russia e della relativa reazione U.S.A. ha manifestato oltre alle crisi
delle manifatture militari, sia americano che Occidentale in generale,
anche “… la vaghezza dell’Occidente collettivo, né occidentale né
collettivo …”( 11), né l’America mira a disintegrare la Federazione Russa,
come chiaramente indicato a Kiev, o farle la guerra, con il rischio di creare
un buco nero ingestibile e instabile oltre a creare le premesse per una
potenziale nuova Guerra Globale.
( Editoriale, Storia all’Ucraina, 7 – 31, in
“Lezioni Ucraine”, Limes 5/2023)
Formazione dello Stato
Austriaco
Lo stato
austriaco è una creazione dinastica della Casa
degli Asburgo (Hasburg), ma
sarebbe un errore di valutazione scorgervi un insieme di territori diversi,
artificiale, uniti solo dal legale col medesimo sovrano. Invece, nel corso dei
secoli, si è venuta formando una “idea
austriaca”, comune a tutte le diverse e distinte parti sulle quali regnava
la Monarchia.
Questa “idea dell’Austria” riposa sulla
constatazione che i popoli riuniti sui paesi bagnati dal Danubio, diversi per
lingua, per origine e cultura, sono in realtà naturalmente portati a intendersi
sul terreno politico ed economico e non solo nel loro egoistico interesse ma in
quello dell’Europa intera.
Sorge l’idea
dell’Austria asburgica fondata sull’affermazione di una solidarietà che ha
origine nelle lotte fatte in comune, che si traduce in un ideale di civiltà.
Il nome di Austria
– Osterreich ( Reich von Osten – Regnum Orientis ) appare per la prima volta in un
documento firmato dall’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Ottone III di Sassonia nel 996.
Il nome
indica una regione: la Marca dell’Est di Carlomagno,
che l’aveva creata dopo la distruzione degli Avari, per lungo tempo l’Austria
avrà il ruolo di bastione di fronte alle orde asiatiche che penetrano in
Occidente.
Nel secolo X
essa fu distrutta e assorbita dagli Ungari, che fissarono la loro frontiera col
mondo tedesco all’Enns, ma la vittoria di Ottone
I di Sassonia al Lechfeld in Baviera (955) sugli Ungari, permette la
ricostruzione della marca Orientale (Ostmark)
che passa nelle mani dei Babenberg, i
quali attraverso lunghi secoli di dominio, di guerre e di unioni dinastiche, la fondano
definitivamente dandole un notevole grado di civiltà tanto economica che
intellettuale.
Dopo un
breve dominio degli Slavi ( re Ottokar II
) e di unione con la Boemia, Rodolfo
di Habsburg, piccolo feudatario della Svizzera tedesca, rifonda l’Austria e
diventato imperatore nel 1273, dopo il tramonto della dinastia Sveva degli Hohenstaufen, vince gli Slavi a Marschfeld (1278) e pone sotto il suo
dominio i ducati di Carinzia e di Carniola (attuale Slovenia), della Stiria e dell’Austria vera e propria,
che assicura con feudi ereditari per i suoi figli, da allora fino al 1918 la
storia dell’Austria si identifica con quella degli Asburgo.
Il merito
storico di questi sovrani è stato quello di aver capito la solidarietà che già
univa i diversi Stati della regione danubiana: Boemia, Ungheria e Austria, così
che, invece di combattere con i vicini, cercarono sempre di legarli a sé con un’abile
politica matrimoniale, che ispirò più tardi i celebri versi:
Bella gerant alii, tu
felix Austria, nube,
Nam quae Mars aliis,
dat tibi regna Venus.
Così, di
combinazione matrimoniale in combinazione, Rodolfo
IV acquista la Contea del Tirolo e Alberto II, genero dell’Imperatore di
Germania Sigismondo, può ottenere a
sua volta di nuovo la corona del Reich (1438) e suo figlio Federico IV conia
l’orgogliosa insegna: A. E. I. O. U. – Austriae
est imperare orbi universo.
I risultati di questa politica si vedono con Massimiliano I ( 1493 – 1519 ), che sposando Maria di Borgogna, figlia di Carlo
il Temerario, porta all’Austria le ricche provincie della Franca Contea e
dei Paesi Bassi, questo sovrano, molto superiore a tutti i suoi predecessori,
fondò nei suoi Stati le basi per un solido accentramento moderno.
Consolida il
suo dominio nel Tirolo, svincola l’Austria dall’Ungheria dopo la morte di Mattia Corvino, definisce stabilmente i
suoi diritti nelle Fiandre e nell’Artois, misurandosi col re di Francia,
combattendo anche contro Carlo VIII,
e intervenire in Italia, stabilendo legami familiari con Ludovico il Moro, signore di Milano e, a danno di Venezia, annette all’Austria la
contea di Gorizia, fissando a Trieste lo sbocco al mare per i suoi Stati,
diventando al contempo padrone dei feudi indipendenti della Carinzia e di
alcuni del Friuli.
Il successo
più importante è tuttavia il matrimonio che riesce a concludere, dopo essere
diventato uno tra i più potenti sovrani d’Europa, tra suo figlio Filippo il Bello e la figlia dei reali
di Spagna Giovanna la Pazza, matrimonio che farà degli Asburgo i sovrani più
potenti del mondo con Carlo V . Anche
se l’impero universale sognato da Carlo V
non si realizzerà, gli Asburgo domineranno la Spagna e il suo impero fino
al 1713.
Inoltre,
anche il matrimonio dei suoi nipoti che riesce ad organizzare, Ferdinando e Maria, eredi di Luigi II
Jagellone, che già aveva le corone di Boemia e Ungheria, fece sì che per la
morte di questo re nella battaglia di Mohacs
contro i Turchi, anche questi regni si unirono all’Austria nell’unica
persona di Ferdinando.
Il 1526, battaglia di Mohacs,
appare dunque di importanza capitale per la storia dei tre paesi danubiani, è
la data dell’unità austriaca, sebbene si tratti di un’unione soltanto
personale, tuttavia essa forma una situazione di fatto, che nel orso dei secoli
darà vita all’idea austriaca.
Infatti nel ‘500 e nel ‘600 questi tre corpi di un solo Stato vivono eventi
eccezionali, per un verso essi devono solidarizzare e fare fronte comune contro
la mortale minaccia turca che preme dal Sud e dall’Ungheria, dall’altro la
riforma luterana che è lotta non solo anticattolica ma spesso antiasburgica,
dunque antiaustriaca.
Si delinea
così il senso dell’idea dell’Austria, essa è il bastione del cattolicesimo
romano contro i luterani da una parte e contro i turchi dall’altra. Nel corso
del ‘500 la Controriforma è attivissima in Austria: i Gesuiti si stabiliscono a
Vienna, a Praga e a Graz. La loro attività diventa più notevole nel secolo
XVII, educatori notevoli, essi si interessano soprattutto alle classi più
abbienti e ai nobili, imprimendo all’Austria una profonda e durevole impronta
cattolica.
I due
imperatori Rodolfo II, suo fratello Mattia e dopo di loro, Ferdinando II, lottano tenacemente contro i Luterani nella Guerra
dei 30 anni in cui avviene la germanizzazione della Boemia e contemporaneamente
l’accentramento più stretto intorno a Vienna di tutte le province dell’Impero,
dove la nobiltà tedesca e cattolica ne diventa la classe dirigente.
La lotta
contro i Turchi che gli Asburgo conducono con altrettanta tenacia, fa capire ai
popoli danubiani il senso della loro associazione e della loro missione storica
in Europa. Gli attacchi turchi che vanno da primi anni del ‘500 fino a
culminare nell’assedio di Vienna del 1683, vengono stroncati dopo l’eroica
resistenza sostenuta dal conte von
Stahremberg, aiutato e salvato in extremis dal re di Polonia Jan Sobieski.
Da questo
momento parte la controffensiva austriaca guidata dal Principe Eugenio di Savoia, che sebbene straniero fu ed è
considerato un eroe nazionale. Egli vince a Kahlenberg
e porta gli austriaci ad essere i padroni dell’Ungheria (Battaglia di Zenta),
inseguendo i Turchi e ricacciandoli fino alla Serbia (Belgrado), la lotta
storica degli Asburgo con i Turchi si conclude con la Pace di Passarowitz del 1717, che segna il trionfo dell’idea austriaca e degli Asburgo.
Tutte le
diverse nazionalità del loro Impero li
riconoscono tacitamente e vi è una legittima fierezza di farne parte di esserne
associati nel destino storico. Artefice di questo successo e del prestigio
asburgico è il Principe Eugenio che ha fatto concretamente sperimentare la
funzione dell’Austria, baluardo dell’Europa contro i Turchi e centro di
civiltà, capace di propagarla per tutto il sud-est balcanico.
Lo Stato
austriaco prende dunque coscienza di se stesso e sul finire del ‘600 dispone
già di una solida base economica. Nel 1684 uno studioso austriaco, von Hornigk,
considera che i paesi degli Asburgo formano “unum corpus naturale” un mondo chiuso e sparge la convinzione che
l’Austria, se elabora un piano accuratamente studiato può sorpassare tutti gli
altri Stati potendo tranquillamente vivere disponendo di risorse proprie oltre
a quelle necessarie.
Nella stessa
epoca il Consigliere imperiale Becher suggerisce
a Leopoldo I l’idea di formare una
sorta di unione doganale austro-germanica, che sottrarrebbe la nazione tedesca
dalla prevalenza economica della Francia e organizzare una Compagnia
dell’Oriente che importi tutti i prodotti necessari extra europei al regno.
Il governo
pratica infatti questo mercantilismo autarchico fondando a Vienna un Istituto
d’Arte ed Industria statale, mentre Carlo
VI sviluppa e amplia il porto di Trieste (1713-1740) sviluppando nei
Balcani il commercio austriaco e creando a Ostenda una Compagnia Austriaca
delle Indie.
Sono questi
i primi positivi e concreti segni della vitalità dell’idea austriaca, i sudditi imperiali vedono nell’unione politica con
l’Austria il loro benessere assicurato. Gli Asburgo non devono più ricorrere a
combinazioni, a machiavellismi, essi incarnano gli interessi delle necessità
naturali e delle volontà dei loro popoli.
Diffuso e
sentito è il lealismo monarchico nelle classi dirigenti anche se di diverse
nazionalità e Carlo VI può sancire la “Prammatica Sanzione”, ossia la Costituzione Imperiale (Reichsverfassung), che regola la
successione degli Asburgo nei loro Stati e, in questo caso, indica la figlia
dell’Imperatore, Maria Teresa .
Gli Stati
austriaci sono indivisibili e sotto l’autorità dell’Imperatore, tutti i sudditi
delle diverse nazionalità salutano con riconoscenza la decisione, gli Asburgo
non perseguono in questi secoli soltanto la politica dell’idea austriaca, essi
mandano avanti anche una politica imperiale tedesca, rilevanza all’elemento
germanico dell’impero e interesse per le vicende degli Stati dell’Impero
germanico extra austriaci, infine, anche una politica universalistica.
Capi del
Sacro Romano Impero Germanico, i sovrani austriaci conservano la loro posizione
nei confronti degli altri principi tedeschi. Hanno dovuto subire insuccessi
gravissimi in questo settore ed hanno dovuto riconoscere, dopo il Trattato di Westafalia, le “germanicae libertates” e in Germania, lo
sviluppo della Casa degli Hohenzollern
in Prussia, è una seria fonte di preoccupazioni.
Nessuno
peraltro gli contesta il grande prestigio e la loro funzione di baluardo del
germanismo e della germanizzazione nel centro e nel sud-est dell’Europa,
l’Imperatore d’Austria è la spada del Reich tedesco, per questo lotta contro i
Turchi e difende la Germania dall’espansionismo di Luigi XIV .
L’universalismo asburgico conosce il massimo apice nel ‘500 con Carlo V e questa eredità continua nei
secoli, il filosofo Leibniz , ancora
sul finire del ‘600, vede nell’Imperatore d’Austria e di Germania il capo del
mondo cristiano e l’Impero per il filosofo è di interesse universale.
E’ ovvio
come all’inizio del ‘700 questa antica e grandiosa ambizione degli Asburgo li
abbia messi, di proposito, nella guerra di successione spagnola contro i Borboni. Gli Asburgo non riescono a
vincere completamente l’antagonista borbonico, ma riescono comunque a mettere
le mani, con il Trattato di Rastadt
sui Paesi Bassi, sull’importante Ducato di Milano e il lontano Regno di Napoli.
Questi paesi
italiani, dove ora gli Asburgo estendono la loro egemonia, sono del tutto al di
fuori dell’orbita tedesca e danubiana, difficili e profondamente diversi, non
sono assimilabili all’Austria.
La stessa
vasta estensione raggiunta col Trattato
di Rastadt turba i Borboni che
ritengono necessario tornare alla lotta antiasburgica, la politica
universalistica torna quindi a danno
dello Stato austriaco, in quanto lo
impegna in una lotta con altri Stati che non sono essenziali alla sua struttura
e alla sua funzione storica di essere il centro degli interessi mitteleuropei e
danubiani.
Nei primi
anni del ‘700 e poi definitivamente con l’Imperatrice Maria Teresa torna di più in attualità l’idea austriaca, l’Austria
rinuncia all’idea universale e cede Napoli, riconciliandosi con i Borboni. Tuttavia, nel loro Impero gli Asburgo, come retaggio della Pace di Rastadt, continuano a conservare
Milano e la Lombardia.
La necessità
delle circostanze li obbliga ad essere presenti in Italia, paese del tutto
inassimilabile, eccentrico, che peserà sempre come fattore negativo in tutta la
loro politica, fino alla Prima Grande Guerra del Secolo XX.
E’ sempre
l’dea universale che si accompagna a quella austriaca a far sì che essi debbano
essere presenti nella Germania, certamente più congeniale e naturalmente più
vicina che non l’Italia, ma comunque condizionante in modo da esorbitare dal
vero loro fine storico: l’unione delle nazionalità e degli interessi
dell’Europa centrale e danubiana.
Gli Asburgo
vennero travolti e rovinarono il loro impero per non aver capito in tempo che
dovevano abbandonare l’idea universale e quindi disinteressarsi tanto
dell’Italia che della Germania, per svolgere il loro vero compito di far
sopravvivere l’antico blocco, confederazione di popoli che naturalmente devono
vivere associati: Austriaci, Boemi e
Ungheresi.
Quando
ebbero la tardiva coscienza di questo le nazionalità, ormai imbevute di nazionalismo,
si misero a sgretolare un blocco storico che forniva loro da secoli un elevato
livello di civiltà e di benessere, questo fu il principio di una decadenza
inarrestabile, per essere poi ridotte a Stati fragili, deboli, esposti a subire
il peso e l’ingerenza di Potenze straniere.
La storia
dell’Austria moderna è anche la storia della decadenza degli Asburgo, ma all’inizio del ‘700 l’Impero
austriaco brilla tra le grandi potenze del mondo, con Maria Teresa è al culmine della sua potenza, è un centro di civiltà
cattolica, sviluppa la civiltà del barocco e forma il
carattere e il temperamento dell’Austria, quel settore del mondo germanico sui generis:
cosmopolita, aperto al sud latino come all’oriente slavo, vero terreno di
quanto intendiamo per civiltà europea.
venerdì 20 ottobre 2023
Antonio TRogu: Politica militare russa ed invasione dell'Ucraina
Politica
militare russa e invasione dell’Ucraina
Nel
2022 la situazione geopolitica in Europa
si e’ modificata e l’auspicata integrazione della UE nel centro del continente
con una transizione post-sovietica ad est e’ al momento in bilico. Nel marzo
del 2014 l’annessione alla Russia della Crimea, che dal 1954 era parte
dell’Ucraina , ed il conflitto nel Donbass hanno messo in forse quelli che
erano i confini post-sovietici ed hanno portato all’invasione della Ucraina.
Negli
ultimi anni prima dello scoppio del conflitto ucraino, vi e’ stata una
crescente propensione filo occidentale
di molti paesi ex sovietici che ha creato forti tensioni con la Russia anche
perché si sottraevano al privilegiato
rapporto politico economico e questo andava contro al progetto di unione
euroasiatica.
La
nascita di un governo ucraino dichiaratamente antirusso e filo occidentale
confinante con la russia andava contro l’idea di spazio post sovietico a guida
russa.
All'alba
del 24 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha dato l'ordine di
invadere l’Ucraina, decisione presa poco dopo il riconoscimento delle
repubbliche separatiste del Donbass situate in territorio ucraino, Donetsk
e Lugansk, e l'invio di truppe con la motivazione ufficiale di un’iniziativa di
peacekeeping. Questo nonostante il Memorandum di Budapest in accordo del quale
in cambio del disarmo nucleare dell’Ucraina, la Russia prometteva
di rispettare i suoi confini internazionalmente riconosciuti. Dunque
anche la Crimea era riconosciuta dalla Russia stessa come parte del territorio
sovrano ucraino.
Gli
Usa (Bill Clinton) e Regno Unito (John Major) diedero la garanzia
internazionale di vigilare sulla inviolabilità dei confini dell’Ucraina.
La stessa formula venne applicata anche a Bielorussia e Kazakistan. Essendo un
memorandum e non un trattato, non era legalmente vincolante. Ma era comunque un
impegno formale e scritto.
La
Russia ha invaso l'Ucraina con circa 150.000 soldati; prima
dell'invasione, manteneva circa 30.000 soldati nelle aree dell'Ucraina occupate
dal 2014. Nel settembre 2022, il governo russo ha chiamato 300.000 riservisti
al servizio militare attivo per sostenere la guerra in Ucraina. Nel novembre
2022, il presidente PUTIN ha firmato un decreto che consente ai russi con
doppia nazionalità e a quelli con status di residenza permanente in paesi
stranieri di essere arruolati nell'esercito per il servizio militare.
La
Bielorussia, dalla quale Putin cerca di avere un supporto militare, anche non
partecipando al momento con proprie truppe,
è nella realtà parte in causa nel
conflitto, ad ottobre dello scorso anno
ha autorizzato il transito delle forze russe dirette nella parte nord
dell’Ucraina confermando così di essere
un Paese satellite della Federazione Russa.
Il
10 Ottobre 2022, secondo quanto riferito
dal presidente bielorusso Lukashenko, i presidenti
di Russia e Bielorussia hanno concordato lo schieramento di un
gruppo regionale congiunto di truppe, Russe e Bielorusse, al confine con
l’Ucraina. Il timore dell’Ucraina riguarda la possibilità che il confine
settentrionale diventi porta di accesso per le forze russe costringendo così lo
spostamento di parte delle forze ucraine a nord.
Altro
aspetto da sottolineare riguarda il referendum farsa, non riconosciuto
dall’occidente, che ha modificato la Costituzione cancellando lo status di
Paese non nucleare e permettendo il dispiegamento di armamenti nucleari sul
proprio territorio.
Putin ha
bisogno di truppe in una fase delicata dal conflitto e potrebbe attingere da
quelle dell’alleato a lui più vicino ed a lui subordinato ma occorre
considerare che il conflitto in Ucraina tra i bielorussi non è popolare, come
del resto in seno all’opinione pubblica non è affatto popolare lo stesso
Lukashenko, che ha superato l’ondata di proteste successive alla presidenziali
del 2020 solo grazie all’aiuto di Mosca.
A
18 mesi dall’inizio del conflitto, quella in Ucraina sembra essere sempre più
una guerra di logoramento, la Russia si trova in una fase delicata del
conflitto, quella che avevano ipotizzato essere una operazione veloce si è
rivelata un pantano con l’offensiva bloccata ed una ingente perdita di uomini e
mezzi. Inoltre ora
Putin ha un problema con il gruppo Wagner dopo che il 24 giugno 2023, Evgenij Prigožin ordinava ai
propri combattenti di marciare su Mosca, anche se poi li ha fatti fermare
prima. Come confermato in un audio dallo stesso capo dei
miliziani, Yevgeny Prigozhin,I miliziani della Wagner sono arrivati "a 200
chilometri da Mosca" ma ora fanno "marcia indietro", tornando
verso sud per evitare "spargimento di sangue russo" da una parte o dall'altra.
Sebbene
la scarsità di rifornimenti e munizioni stia ostacolando in modo decisivo
l’avanzata delle forze russe, Putin non dà segni di voler scendere a
compromessi.
È
intanto iniziata la controffensiva ucraina con l'esercito di Kiev che
sta raddoppiando gli sforzi per sfondare le difese russe
a sud, in un'area che ha faticato a gestire da inizio giugno
quando è partita la nuova spinta per la riconquista dei territori.
Antonio
Trogu trogant@libero.it
30 luglio 2023
martedì 10 ottobre 2023
LA CONTESTAZIONE DEL POTERE SPAGNOLO IN ITALIA AD OPERA DELLA FRANCIA NEL XVII SECOLO E LE BASI DELLA RIPRESA
Ten. cpl Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Nell’attuale
fase storica di cambiamenti globali e lotte per la ridefinizione delle aree di
influenza, in cui l’Italia è al contempo oggetto e parte del contendere, vi è
un richiamo alle vicende storiche vissute dalla Penisola nel secolo XVII e di
cui si era discusso a lungo nel corso dell’anno scolastico 1974-75 con il
nostro professore di storia e filosofia, Lampugnani,
presso l’allora “V° Liceo Scientifico”,
attuale “Lanfranconi”, di Voltri –
Genova.
LA CONTESTAZIONE
La costosa e sanguinosa serie di
guerre d’Italia si era conclusa con la cacciata della Francia dalla Penisola e
con il pieno trionfo della Spagna.
Dopo il 1559
i Francesi conserveranno ancora delle guarnigioni a Torino ( sino al 1563),
mantenendo in Piemonte una presenza modesta ma strategicamente importante: le
fortezze di Pinerolo, Chivasso, Chieri e il marchesato di Saluzzo oltre al
controllo della Val Varsita e della valle del Chisone.
Questa
presenza in Italia è molto apprezzata dalla diplomazia francese che definisce
queste posizioni: “les clefs de l’Italie”,
sia pure con molto ottimismo.
Tuttavia, il
giovane re di Francia Enrico III Valois, nel 1573, di ritorno
dalla Polonia, dopo le grandiose feste fatte in suo onore dalla Repubblica di
Venezia, sulla via del ritorno, regala per amicizia al duca Emanuele Filiberto di Savoia la fortezza
di Pinerolo.
Sul finire
del secolo, nel 1588, il duca Carlo
Emanuele I di Savoia (figlio di Emanuele
Filiberto), scontento nel vedere la Francia proteggere Ginevra, che da poco
gli si è ribellata nella lotta che conduce contro Berna e altri cantoni
svizzeri, si allea con Filippo II di
Spagna e, sfruttando le difficoltà della Francia, s’impadronisce con un
colpo di mano del marchesato di Saluzzo, una delle più importanti “clefs de l’Italie”.
La Francia
non può intervenire perché è in lotta con la Spagna e, pertanto, alla Pace di Vervina si rimanda la questione
di Saluzzo, uno speciale arbitraggio del Papa regolerà la vertenza tra la
Francia e la Savoia, ma il Papa non può attuare l’arbitraggio e l’energico re
di Francia Enrico IV è deciso a
regolare la questione senza indugi.
Egli sfida
il duca di Savoia, intimandogli la restituzione di Saluzzo, muove da Parigi con
un grosso esercito e si installa a Lione, pronto a invadere la Savoia, mentre
una congiura ordita contro il duca mette questi in pericolo di morte, fallita
la congiura Enrico IV varca il
confine, occupa Chambéry, mentre le sue truppe mettono a sacco il territorio.
Papa Paolo IV interviene allora tra i due
contendenti e la sua mediazione porta alla Pace
di Lione (1601), Enrico IV rinuncia
al marchesato di Saluzzo, perché nel suo realismo considera impossibile una
politico di intervento in Italia, in cambio ottiene dal duca di Savoia, la Bresse
con Bugey, Valromey e Gex, tutti territori a nord di Lione, tra la Savoia e la
Borgogna, tutte le terre dei Savoia al di là del Rodano, il duca di Savoia
conserverà solo l’uso di un ponte sul Rodano e di una strada per Bésancon.
A Parigi la
decisione del re non è piaciuta, a corte vi è un partito che rivendica le
vecchie conquiste in Italia e vorrebbe continuare la vecchia politica di
intervento.
Il duca di
Savoia, dopo il Trattato di Lione ,
rivolge tutte le sue attenzioni e ambizioni in senso antispagnolo , al
Monferrato e alla Liguria, tuttavia questa politica nel metterlo in urto con la
Spagna lo costringe necessariamente a rivolgersi alla Francia, nel 1610 Carlo Emanuele I firma con Enrico IV il Trattato di Bruzolo, in val di Susa.
Il duca ed
il re di Francia avrebbero attaccato insieme la Spagna, Carlo Emanuele avrebbe ottenuto tutta la Lombardia e il Monferrato
e in cambio avrebbe ceduto tutta la Savoia alla Francia e tutte le terre al di
là del crinale delle Alpi. Era la teoria del re di Francia che anticipava il
nazionalismo del secolo XIX : chiunque
parlasse il francese, avrebbe dovuto essere suddito del re di Francia.
Tuttavia, ad
un mese dal Trattato di Bruzolo, Enrico
IV muore pugnalato a Parigi e comincia così il difficile periodo della
reggenza di Maria de’ Medici, dal
quale la Francia uscirà solo ad opera del Cardinal
di Richelieu.
Carlo Emanuele I si trova così solo ad affrontare le ire della Spagna, dalla
quale lo salva con difficoltà la mediazione di Venezia.
Nel 1612,
alla morte di Francesco II Gonzaga, duca
di Mantova, Carlo Emanuele I avanza i
suoi diritti sull’eredità dei feudi del Monferrato che appartenevano ai Gonzaga
: Casale, Alba, Nizza, Cortemiglia. Si può scorgere facilmente come l’insieme
dei feudi gonzagheschi siano indispensabili all’economia e alla sicurezza del
Piemonte.
Il duca di
Savoia avanza con i suoi soldati nel Monferrato, ma viene rapidamente sconfitto dalla Spagna, nel 1617 deve firmare
il pesante Trattato di Madrid e
cedere a Filippo III di Spagna tutto
quello che aveva occupato nel Monferrato, dopo questa infelice guerra il duca
di Savoia stringe rapporti più stretti con la Francia, tanto che nel 1619 Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, sposa Vittorio Amedeo, principe ereditario.
Nell’Europa
divampa la guerra dei Trenta Anni quando il Cardinale di Richelieu dà inizio
all’aperto conflitto con la Spagna, Carlo
Emanuele I scende nuovamente in guerra a fianco della Francia ( 1623),
tenta un ardito colpo di mano su Genova e invade la Liguria, la Repubblica di
Genova reagisce energicamente e il comandante Spinola riesce a spingersi in Piemonte minacciando Torino da
vicino.
Intanto dalla
Lombardia truppe spagnole e imperiali invadono lo Stato dei Savoia dilagando in
ogni parte del Piemonte, solo gli accordi diretti tra Francia e Spagna del 1626 ( accordi di Monzon ), salvano in extremis il duca di Savoia e riportano la
situazione al punto di partenza.
Moriva
improvvisamente nel 1627 senza eredi il duca di Mantova, Vincenzo II Gonzaga, subito Carlo
Emanuele di Savoia torna ad avanzare i suoi diritti sul Monferrato. Questa
volta l’eredità di Mantova e del Monferrato spetta a Carlo Gonzaga di Nevers , un ramo della dinastia dei Gonzaga che da
un secolo si era stabilita in Francia.
Il Cardinale di Richelieu intuisce
immediatamente l’importanza della posta in gioco ed è ben deciso a non farsela
sfuggire, nei suoi piani sia il Monferrato ( Casale) che Mantova devono
diventare due punti determinanti per la riscossa antispagnola in Italia e per
il ritorno della Francia alla grande politica di intervento in Italia. Con un infiammato
discorso al Consiglio della Corona egli rilancia la politica tradizionale
delle “guerre d’Italia”: “L’Italie, c’est le coeur du monde …” e
la Francia non sarebbe degna di sé, se vi rinunciasse. E ancora : “ Casal et Mantoue, voilà les deux clefs de
l’Italie”.
Il Cardinale prevedeva quindi una
guerra che investisse tutta l’Italia settentrionale, in vista di un effettivo
controllo della Francia su tutta la Penisola.
Il discorso di Richelieu non piacque alla regina madre, Maria de’ Medici e neppure al mediocre consigliere di stato Marillac , segretario della Corona, ma
affascina il giovane e inquieto Luigi
XIII , infatti il giovane re di Francia, Richelieu e il maresciallo
Toiras scendono personalmente in
Italia alla conquista di Torino e di Casale.
Al termine di una guerra piena di
colpi di scena e di momenti drammatici , Luigi
XIII rischia di morire nella val di Susa, Richelieu cade gravemente ammalato, dopo essersi immerso nelle
acque gelide del Po nell’assedio di Torino, il Trattato di Cherasco,1631, consacra il trionfo del Cardinale.
Il duca di Gonzaga-Nevers ( indirettamente la Francia) riceve Mantova
e tutto il Monferrato, salvo Alba e Trino, il nuovo duca di Savoia, Vittorio Amedeo I, figlio dello
sfortunato Carlo Emanuele I, nel
frattempo morto, deve però cedere, in cambio di questi due feudi nel
Monferrato, la fortezza di Pinerolo e la val Perosa, non lontana da Torino,
importante passaggio tra il Delfinato e la Savoia.
Vittorio Amedeo I, come marito di Cristina di
Francia è quindi anche cognato di Luigi
XIII, il Cardinale di Richelieu per
addolcire il suo reale stato di sudditanza verso la Francia sollecita le
ambizioni del duca indirizzandone le mira nei settori italiani : gli promette
tutta la Lombardia in cambio della Savoia, l’antico piano di Enrico IV, e lo incoraggia nelle sue
mire sulla Liguria.
Lo lega in tal modo alla sua politica
stringendo il Patto di Rivoli e fonda
la Lega di Mantova : la Savoia, Mantova e Parma. Quando nel 1637 Vittorio Amedeo I muore a Vercelli, la duchessa Cristina, che regnerà fino al
1663, trasformerà la Savoia in una pedina del gioco politico francese.
A questo punto l’opinione italiana
vedeva la prima tangibile, concreta contestazione della supremazia spagnola in
Italia, in breve tempo anche gli Estensi di Modena e i Medici di Firenze
aderiscono alla Lega di Mantova, diventando
alleati della Francia.
Gli agenti segreti francesi sono
attivi anche a Roma e nell’Italia meridionale, dove si riforma un partito
francese. Il duca di Guisa a Napoli e
l’ambasciatore di Francia a Roma tramano congiure, sobillano sommosse, tanto
che nel 1647 Napoli insorge e Masaniello
proclama la Repubblica.
La Francia non può tuttavia uscire
allo scoperto intervenendo direttamente, del resto gli Spagnoli scoprono le
trame del duca di Guisa a Napoli e
reagiscono violentemente, l’autorità spagnola è anzi ribadita nell’Italia
meridionale con dure rappresaglie.
La politica di intervento sistematico
mandata avanti dal Richelieu è
continuata ancor più decisamente dal successore Cardinale Mazarino, siciliano, questi ha grandi ambizioni e nutre
grossi propositi e vasti piani proprio per l’Italia meridionale, dove conta di
mettere sul trono di Napoli un principe francese.
Mazarino attacca
la Spagna in tutte le direzioni: Luigi
XIII è di proposito nominato “conte
di Barcellona”. Il cardinale progetta l’annessione alla Francia della
Catalogna, della Navarra, dei Paesi Baschi e medita una grande impresa navale
che porti i Francesi a Napoli e a Palermo. A distanza di un secolo
dall’umiliante pace di Cateau Cambrésis, il
trattato dei Pirenei (1659), segna il trionfo francese.
Se territorialmente la Francia occupa
soltanto Perpignano e le vallate pirenaiche della Cerdagne, il matrimonio tra
il giovane Delfino (il futuro Luigi XIV)
e l’Infanta Maria Teresa, è il
capolavoro diplomatico e politico di Mazarino.
Il contratto di nozze comprende clausole così gravose per la corona spagnola
che, a partire da questa data, si può dire che la nazione iberica sia stata
sconfitta a profitto della monarchia francese.
Infatti, mai la Spagna avrebbe potuto
pagare la somma astronomica prevista come dote per la principessa spagnola, la
non solvibilità spagnola si traduceva in una sostanziale ipoteca sulla Spagna
stessa.
Con il nuovo re Luigi XIV, l’Italia non è però al centro della politica estera
francese, ma Versailles conserva una forte influenza nel nord della Penisola. Centro
di questa egemonia è Torino, Cristina
duchessa di Savoia, Madame Royale,
regna infatti sino 1663 e sempre con una reggenza francese, Jeanne de Nemours, inizia il regno di Vittorio
Amedeo II (1675-1730).
Luigi XIV ha i
suoi piani anche per l’Italia, più che all’espansione territoriale tende ad
assicurarsi punti di appoggio strategico – militare, vuole soprattutto che sia
riconosciuto il suo prestigio e che si esegua la sua volontà, in caso contrario
non esita a operarvi tutti gli sconfinamenti che ritiene opportuni e ad usare
la forza ( politique d’empiétement ),
evita in tal modo di disperdere le sue forze sul controllo diretto di territori
troppo ampi.
Così nel 1681 costringe il duca di
Mantova e del Monferrato a cedergli Casale, chiave di passaggio alla pianura
Padana, in Liguria l’ambasciatore di Luigi
XIV , Pidou de Saint Clon, si sforza in tutti i modi di staccare il Senato
genovese dalla Spagna, quando i suoi sforzi e le sue trame a Genova falliscono,
invita il Re Sole a intervenire suggerendogli l’annessione di Genova e della Liguria ( Génes …, la porte de l’Italie).
Luigi XIV esita
di fronte all’annessione, si limita a sottoporre Genova ad un duro
bombardamento navale, farà attendere l’ambasciatore genovese tre giorni prima
di riceverlo e costringerà il Doge di Genova ad andare a Versailles a
chiedergli umilmente il perdono.
Con il Vaticano, il Cristianisssimo,
non esita ad intervenire: all’orgoglioso rifiuto di papa Innocenzo XI delle prerogative gallicane, Luigi XIV risponde con dura fermezza non lasciandosi intimidire né
dall’interdetto alla chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma e neppure dalla
scomunica all’ambasciatore a Roma, Lavardin.
Minaccia anzi un nuovo concilio nel Parlamento di Parigi (1688) e nell’autunno
di quell’anno le truppe del re si impossessano di Avignone.
Nel 1690 Vittorio Amedeo II di Savoia si emancipa dalla tutela francese e si
schiera con l’Impero contro il Gran Re , ma a Staffarda e a Marsiglia le truppe
del Re Sole disperdono i soldati del duca e “Monsieur de Savoie “, come con evidente disprezzo lo chiama Luigi XIV , deve firmare la pace di Torino ( 1696) e legarsi ancor
più alla Francia, il Delfino, duca di Borgogna, che è nipote di Luigi XIV
sposa Maria Adelaide figlia
di Vittorio Amedeo II.
La guerra di successione spagnola che
termina nel 1713 è un grande successo per Luigi
XIV ma lo è anche per l’Impero, perché da questo momento inizia la presenza
dell’Austria in Italia, destinata a durare per tutto il secolo XVIII.
Il ducato di Savoia, uscito dalla
tutela della Francia, sarà anche lo Stato più importante della Penisola.
DECADENZA E SENTIMENTO DI RISCOSSA
E’ ormai un luogo comune la
constatazione che il ‘600 rappresenta uno dei momenti di massima depressione
politica della nostra storia nazionale, sebbene abbia espresso con il Barocco
uno dei momenti di vertice massimi dell’arte italiana nel mondo.
Tuttavia è bene indicare quel tanto
di positivo che anche in questo secolo esisteva nella nostra Nazione, in
proposito è opportuno considerare quanto Benedetto
Croce nel suo celebre libro “Storia dell’età barocca in Italia”
espone:
“
… sulla fine del seicento, rapidamente, gli stranieri, e prima di tutti, per la
letteratura, i francesi, e, per la scienza, i circoli che mettevano capo alla
libera Olanda, si avvidero e dissero la parola, che l’Italia era decaduta, che
la sua poesia era brillante e falsa, che la sua scienza era frivola e parolaia.
E quasi contemporaneamente, sia pure tra voci di ripulsa e di collera, che
attestavano la giustizia dell’accusa, gli italiani stessi cominciarono a
sentirsi decaduti, e i più sinceri e coscienziosi si fecero animo a
confessarlo. Allora al fatto si accompagnò la coscienza del fatto, al processo
che giungeva al compimento, la chiara visione della linea fondamentale di quel
processo, fino allora celata da incidenti e parvenze. E allora appunto l’Italia
cominciò a risorgere, la decadenza, da forma di vita, tornò momento di
vita, e il ritmo ascendente riprese: riprese con lentezza e difficoltà, ma riprese.
Non riprese già con una riscossa nazionale contro gli stranieri e per
richiamarsi a libertà popolare, perché questi fini nessun uomo di senno allora
se li sarebbe proposti, mancandone le condizioni nei rapporti delle potenze
europee e nello svolgimento delle istituzioni politiche. E non riprese neppure,
dapprima, direttamente con la più viva partecipazione ai problemi della vita
civile, economici e giuridici. La ripresa fu segnata da una rivoluzione, non
certamente poetica, ma letteraria e stilistica, dalla poi tanto spregiata e
irrisa Arcadia, cioè dal bisogno di scrivere in modo semplice e modesto;
dall’abbandono della scolastica e del peripatismo, e delle grossolane credenze
di ogni sorta, per le scienze di osservazione e per le matematiche e per la filosofia
cartesiana; dalle indagini storiche sul passato dell’Italia, che allora ebbe i
primi cultori.
Queste cose erano l’inizio della restaurata vita morale, perché, come si
è detto che la decadenza investe tutte le opere della vita, così è da dire che la
ripresa del progresso, per parziale che si presenti nell’aspetto, è sempre
intrinsecamente radicale e totale. Soprattutto, indizio di essa fu
l’ammirazione pei libri e le cose forestiere, francesi e inglesi, e il sentirsi
modesti alla loro presenza, e il mettersi alla loro scuola, pur non mancando al
dovere di respingere le ingiurie e il disprezzo straniero. Che cosa c’era da
fare di meglio? Mentre l’Italia “si riposava”, altri popoli avevano camminato.
Bisognava, levatisi di riposo, tenere loro dietro e sforzarsi di raggiungerli.
E qui termina la storia della decadenza italiana e comincia quella del
Risorgimento, comincia non nel 1815, come nei manuali scolastici, ma, sia pure
in forma crepuscolare, intorno al 1670”.