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Metodo di Ricerca ed analisi adottato

Medoto di ricerca ed analisi adottato
Vds post in data 30 dicembre 2009 sul blog www.coltrinariatlanteamerica seguento il percorso:
Nota 1 - L'approccio concettuale alla ricerca. Il metodo adottato
Nota 2 - La parametrazione delle Capacità dello Stato
Nota 3 - Il Rapporto tra i fattori di squilibrio e le capacità delloStato
Nota 4 - Il Metodo di calcolo adottato

Per gli altri continenti si rifà riferimento al citato blog www.coltrinariatlanteamerica.blogspot.com per la spiegazione del metodo di ricerca.

mercoledì 26 aprile 2017

Francia: un nuovo ciclo riformatore?

Primo turno presidenziali
Francia: Macron vs Le Pen svolta epocale
Jean-Pierre Darnis
24/04/2017
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Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali francesi rappresenta una svolta epocale. Da una parte il centrista Emmanuel Macron passa al secondo turno, ed era dai tempi di Giscard d’Estaing che questa tendenza politica non riusciva ad affermarsi. D’altra parte, il Front National di Marine Le Pen si presenta come un solido sfidante, con una progressione netta del numero di votanti rispetto alle precedenti elezioni.

Né il partito socialista, né “Les Républicains”, formazione erede della famiglia gollista, riescono ad arrivare al ballottaggio. Con l’eliminazione di tutte e due le famiglie politiche che hanno fatto la storia della Quinta Repubblica francese, si apre un nuovo capitolo ricco di opportunità ma anche di incognite.

Macron, qualità e congiunzioni favorevoli
La vittoria di Macron al primo turno è frutto dell’incrocio fra le qualità della candidatura e una serie di congiunzioni favorevoli. Bisogna ricordare come sia le primarie della destra che quelle della sinistra abbiano de facto aperto uno spazio al centro, terreno che Macron ha saputo ben sfruttare.

François Fillon era l’espressione dell’ala destra del partito e la sua affermazione su Alain Juppé aveva lasciato un certo malcontento nella destra moderata, un disagio che poi è cresciuto man mano che le disavventure giudiziarie di Fillon hanno suscitato dubbi sulla sua integrità. La candidatura di Fillon, all’inizio molto forte, è quindi risultata azzoppata.

Ma anche a sinistra il gioco si è fatto ingarbugliato. Prima di tutto la rinuncia di François Hollande a ri-candidarsi ha rappresentato un fatto inedito nella Quinta Repubblica dove i presidenti uscenti si sono sempre riproposti alle urne. Il record di impopolarità di Hollande è uno dei fattori che spiega l’abbandono del campo. Tutti si aspettavano, però, che fosse Manuel Valls a vincere le primarie socialiste ed a correre alle presidenziali. Non è andata cosi.

Benoit Hamon, l’opzione più a sinistra, ha vinto e ha poi visto velocemente il suo spazio politico cannibalizzato a destra da Macron e a sinistra da Jean-Luc Mélenchon, portando i socialisti al loro peggiore risultato alle presidenziali. Se aggiungiamo a questo allineamento favorevole dei pianeti politici una serie di sostegni venuti dal centro destra (Baryrou, Arthuis e altri) e dal centro-sinistra (Collomb, Vals, Le Drian e altri) possiamo intravvedere la dinamica della candidatura Macron.

Il fattore terrorismo e la reazione
Anche l’attentato integralista sui Campi Elisi dell’ultima settimana di campagna elettorale sembra avere rinforzato la partecipazione allo scrutinio, con un elettorato desideroso di sostenere le istituzioni minacciate dal terrorismo.

Ma al di là del contesto, bisogna insistere su alcuni punti importanti della candidatura di Macron. Prima di tutto Emmanuel Macron non ha commesso grossi errori durante la campagna e non è stato oggetto di nessun tipo di scandalo, a differenza di Fillon o della Le Pen. Per settimane, la campagna è ruotata intorno alla questione della moralità e Macron ne è uscito indenne. È riuscito quindi ad evitare di finire nella categoria dei “tutti corrotti”, argomento forte di chi intendeva non votare oppure “rovesciare il tavolo” con scelte estremiste.

Macron è stato anche abile nel presentarsi come un candidato di “relativa rottura”, avendo dato le dimissioni del governo esprimendo la sua insofferenza per le mancate riforme. Rappresenta quindi una forma di continuità, ma anche di differenziazione, rispetto alla presidenza Hollande.

Le Pen, l’incognita secondo turno
Per quanto riguarda Marine Le Pen possiamo constatare un ulteriore progresso del suo partito che solidifica le posizioni dopo il buon risultato al primo turno delle regionali 2015. Ma per il Front National rimane una incognita : la capacità di accrescere il numero di votanti al secondo turno per vincere le elezioni.

Anche se possiamo pensare che la parte più conservatrice dell’elettorato di Fillon sia ormai permeabile all’FN, e anche che alcune componenti del voto Mélenchon possano saltare dalla sinistra radicale all’estrema destra, il serbatoio di voti per il secondo turno è piuttosto limitato.

Per quanto riguarda Macron, il sostengo di Benoit Hamon ma anche quello di François Fillon sembrano costituire le condizioni di un potenziale vantaggio sulla Le Pen. Ma se l’astensionismo si alzasse di nuovo, allora bisognerebbe prestare attenzione alla resilienza di un Front National capace di mobilitare con grande costanza il suo elettorato.

Un nuovo ciclo riformatore?
Per la Le Pen, l’obiettivo della campagna era di battere Fillon senza porsi troppo il problema del governo successivo. Invece per Macron la formazione di un governo e la strategia da adottare in vista delle politiche di giugno per cercare di ottenervi la maggioranza dell’Assemblea nazionale rappresentano un traguardo strategico.

Anche perché Macron si trova di fronte a un dilemma. Da un lato vuole fare emergere il suo nuovo partito, “En Marche”, presentando candidati spesso nuovi in ogni circoscrizione. D’altro lato, deve essere conciliante con “LesRépublicains” e il Ps che hanno invitato a votare per lui. Anche in vista di future grandi coalizioni, non può duellare troppo con i due partiti, perché, se li distrugge, perde alleati necessari.

L’operazione politica in corso è dunque molto ambiziosa e rischiosa. Potenzialmente, può aprire un nuovo ciclo riformatore, con una Francia poi capace di spronare i partner europei in tal senso. Vedremo a breve se partendo da Parigi, l’Unione si rimetterà “en marche”.

Jean Pierre Darnis è Direttore Programma Sicurezza e Difesa IAI.

mercoledì 19 aprile 2017

Turchia: intanto ha vinto!

iforma costituzionale
Turchia: per Erdogan una 'non vittoria'
Bianca Benvenuti
17/04/2017
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Passa con il 51,3% il referendum costituzionale che trasformerà la Turchia in una Repubblica presidenziale. La riforma introduce super-poteri per il presidente, che sarà detentore unico del potere esecutivo con facoltà di sciogliere il Parlamento, nominare i ministri ed emettere decreti e leggi; inoltre, potrà nominare giudici e avrà il controllo delle forze armate.

La carica sarà rinnovabile per due mandati e sarà compatibile con quella di segretario di partito. La riforma diventerà operativa a partire dal 3 novembre 2019, per permettere al Parlamento di fare le necessarie modifiche legislative, ma non è escluso che il Parlamento stesso decida di indire consultazioni anticipate.

Per Erdogan una non-vittoria
La riforma costituzionale è passata, ma è difficile definire questa come una vittoria netta per il presidente RecepTayyip Erdoğan e per il suo partito. Il 51,3% di consenso per il sì rasenta la sconfitta, considerando che il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) e il Partito del Movimento nazionalista (Mhp), che insieme sostenevano la riforma, nelle scorse elezioni politiche del novembre 2015 raggiungevano insieme più del 60% dell’elettorato.

Inoltre, la campagna elettorale è stata completamente sbilanciata a favore della riforma. I due co-leader del partito filo kurdo Hdp, fervente oppositore della riforma presidenziale, sono ancora in carcere, accusati di favoreggiamento all’attività terroristica del Pkk.

Anche il Chp ha avuto forti difficoltà a condurre la sua campagna per il no, mentre il fronte del si ha potuto contare sul controllo totale dei mezzi di informazione e di stampa. Per mesi, televisioni e giornali hanno passato il messaggio del referendum come una riforma che avrebbe portato stabilità nel Paese ed aiutato il governo a sconfiggere la minaccia terroristica. Insomma, Erdoğan e l’Akp avevano il coltello dalla parte del manico, ma non sono comunque riusciti ad aggiudicarsi una schiacciante vittoria.

Il no ha vinto nelle grandi città
Erdoğan raggiunge la vittoria nel momento in cui il suo popolo gli volta le spalle. Questo è ancora più ovvio se si analizza la distribuzione del voto e in particolare il fatto che il no ha vinto ad Istanbul, dove la carriera politica di Erdoğan era iniziata, e anche ad Ankara e Smirne. Tre città che non solo sono le maggiori metropoli del Paese, ma sono anche ideologicamente tra loro molto diverse: Ankara più conservatrice; Smirne più progressista e storicamente roccaforte del partito kemalista Chp; Istanbul, moderna e cosmopolita.

Nonostante il basso margine, Erdoğan prende per buono il risultato del referendum, ma il suo disappunto è evidente nella conferenza durante la quale ha annunciato la “vittoria” della sua riforma. Di certo il referendum ha ulteriormente spaccato il Paese e distrutto la coesione sociale: Erdoğan userà la mano dura per imporre questa vittoria.

Brogli e schede contestate
Già durante lo spoglio, sono scoppiate le prime polemiche per scorrettezze durante il voto. La decisione della Commissione elettorale di accettare schede non validate, in contrasto con una norma elettorale approvata nel 2010, ha scatenato la reazione dei maggiori partiti di opposizione.

Sarebbero circa 1.5 milioni le schede non stampigliate conteggiate nel computo totale: un numero rilevante se consideriamo che la differenza tra il sì e il no è stata di meno di 1,3 milioni di elettori. Le opposizioni contestano l’andamento del voto in almeno il 60% dei seggi. Inoltre, decine di video sui social network testimoniano brogli e pressioni nei seggi.

Anche il rapporto preliminare degli osservatori Osce ha confermato che il referendum si è svolto in un contesto politico polarizzato, nel quale le due parti non hanno avuto eguali opportunità durante la campagna. Commentando la decisione della Commissione elettorale turca di validare le schede non timbrate, l’Osce ha affermato che questo ha minato le garanzie contro le frodi.

Un futuro incerto
La nuova riforma avrebbe dovuto consegnare ai turchi un Paese più stabile (nelle dichiarate intenzioni di chi l’ha proposta). Ma l’obiettivo non è stato di certo raggiunto. Oltre alla già citata polarizzazione e divisione della società con cui il governo dovrà fare i conti, resta un’incredibile incertezza sulle sorti del Paese da oggi al giorno in cui la riforma verrà realmente attuata.

Sul piano internazionale, il referendum rischia di minare le già precarie relazioni tra la Turchia e l’Unione europea. Oltre alla decisione dell’Osce di bocciare il risultato elettorale, il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ha già chiesto di interrompere le trattative per l’ingresso di Ankara nell’Ue. Più attendiste le posizioni della Germania e di Bruxelles, che chiedono al governo turco di impegnarsi in un dialogo rispettoso di tutte le parti civili.

Preoccupa, inoltre, la decisioni del presidente turco di accennare alla reintroduzione della pena di morte proprio nel discorso in cui ha confermato ai suoi sostenitori i risultati del referendum: se Erdoğan decidesse di proseguire veramente per questa strada, nessuna posizione attendista reggerebbe.

Bianca Benvenuti è stata visiting researcher, Istanbul Policy Centre (IPC). Durante il suo periodo di ricerca presso lo IAI, si è occupata di relazioni Ue-Turchia e di crisi migratorie.

sabato 8 aprile 2017

Francia: verso nuovi equilibri politici

Presidenziali 23/04
Francia: cronaca fine bipolarismo annunciata
Jean-Pierre Darnis
13/04/2017
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La campagna per le elezioni presidenziali in Francia - primo turno domenica 23 aprile - presenta una serie di novità. Il fatto che l’estrema destra figuri come il partito più votato al primo turno è già di per sé un elemento dirompente. E ciò dovrebbe fare saltare la tradizionale alternanza fra destra e sinistra, una regola che sembrava immutabile dopo la presidenza Sarkozy, con l’impossibilità per la parte al potere di riconquistare la poltrona.

Se consideriamo che la presenza del Front National al secondo turno è altamente probabile, allora, stando ai sondaggi, possiamo avere tre tipi di ballottaggio: Le Pen/Fillon, Le Pen/Macron, oppure Le Pen/ Mélenchon. Di questi quattro candidati, uno solo, Fillon, è l'espressione di una formazione politica, ‘LesRépublicains’, che si pone in linea di continuità con la destra classica. La sinistra di governo, quella socialista, sembra invece destinata a scomparire per la debolezza del suo candidato Benoit Hamon.

Sia il Front National sia ‘En Marche’ (il movimento di Macron, neo-centrista), ma anche ‘La France Insoumise’ (il partito di Mélenchon, sinistra radicale) si presentano come movimenti di rottura con l’establishment dei vecchi partiti.

Un rapporto presidenza-governo modificato
Questa situazione fa emergere una serie di preoccupazioni: le istituzioni della Quinta Repubblica francese e il sistema maggioritario a doppio turno sono stati creati con l'idea di una scelta fra un campo e l’altro, fra destra e sinistra, che spingesse poi l'elettorato a una scelta simile, a favore del partito del presidente, alle successive legislative.

Ora, con varie forze politiche che, nei sondaggi, s’aggirano intorno al 20%, l’effetto alle legislative potrebbe essere bizzarro, con un’Assemblea nazionale divisa in vari gruppi senza che nessuno abbia la maggioranza per formare un governo. Il che dovrebbe condurre a un governo di coalizione, ma anche modificare il rapporto fra il presidente e il governo.

Nelle ultime due presidenze, quella di Sarkozy e quella di Hollande, l’accoppiamento fra mandato presidenziale di cinque anni e una legislatura della stessa durata aveva di fatto modificato la prassi istituzionale, con un governo indebolito nei confronti di una presidenza della Repubblica che era il vero fulcro decisionale. Seguendo questa logica, il ruolo del primo ministro è risultato ridotto, con figure assai pallide che somigliavano più a un sottosegretario alla presidenza del Consiglio che a un vero e proprio capo del governo.

Lo scenario del 2017 spinge a una presidenza che non potrà avere un sostegno forte e unico in Parlamento. La natura composita della maggioranza parlamentare innescherà, quindi, una più forte autonomia del governo e potrebbe anche facilmente tradursi in una vera e propria coabitazione, se verranno eletti candidati non in grado di costruire una coalizione parlamentare che li sostenga (come la Le Pen, o Mélenchon).

Si può dunque prevedere una rivitalizzazione della funzione governativa, in un contesto di forze politiche frammentate in cui il presidente della Repubblica non riesce a dettare una linea a un governo che deve la sua legittimità al voto del Parlamento.

Fluidità e complessità del contesto francese
Ma questi scenari non esauriscono la fluidità e la complessità dell’attuale situazione francese. Anche se la Le Pen sembra destinata a passare al secondo turno, non si possono nemmeno escludere soprese come una sua eliminazione e il ritorno a un quasi classico duello Fillon/Macron, oppure di un inedito Macron/Mélenchon.

Il perché di questa fluidità sta nelle ridotte distanze che emergono dai sondaggi. Tutti e quattro i candidati sono valutati intorno al 20% nelle intenzioni di voto. I margini di errore sono quindi importanti, perché se una formazione che oggi sembra raccogliere il 18% dei consensi dovesse invece raggiungere il 20 o il 21%, dovremmo aspettarci scarti equivalenti in altre formazioni. Sono variazioni piccole, ma che possono cambiare completamente il risultato, modificando la classifica fra i quattro schieramenti.

Il grado di imprevedibilità è quindi piuttosto alto. Nell’attuale contesto, il binomio favorito per il passaggio al secondo turno sembra essere quello formato da Marine Le Pen e Emmanuel Macron. Ed anche in questo scenario risulta difficile prevedere con certezza il risultato finale, legato all’astensione e pure ai movimenti dell’elettorato degli altri candidati eliminati.

C’è quindi un complesso e assai fluido gioco delle probabilità che lascia intravedere un rischio importante per la stabilità della Francia e quindi dell’Europa. L’elezione alla presidenza della Repubblica francese di solito mette in ordine il Paese per i successivi cinque anni con una maggioranza chiara. Questa volta sembra molto più difficile che ciò avvenga.

Ci sarà per forza di cose un assestamento che passerà attraverso un ruolo e un rapporto diverso del Parlamento con il governo, con la costituzione di maggioranze composite o coalizioni, sia nel caso dell’elezione di Marine Le Pen che negli altri casi. Il sistema presidenziale francese ha dimostrato una certa stanchezza con le ultime presidenze, che sono spesso cadute nel degrado morale, e con la percezione di una mancanza di efficienza delle politiche svolte.

Al di là del risultato, queste elezioni trasformeranno il sistema e potrebbero avvicinare la Francia alla Germania oppure all’Italia. Potrebbe essere un segnale di blocco, se fosse ad esempio eletta la Le Pen che avesse poi un governo di colore diverso sostenuto dall’Assemblea, oppure di grande rinnovo, con presidenti obbligati a interagire con varie forze politiche e forse in grado poi di replicare questo sistema di alleanze a livello europeo. Comunque vada, sarà una svolta storica.

Jean Pierre Darnis è Direttore Programma Sicurezza e Difesa IAI.