Conferimento Emblema Araldico a Mario Ceccaroni. Recanati 16 gennaio 2025.
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5 settimane fa
Blog di sviluppo per l'approfondimento della Geografia Politica ed Economica attraverso immagini, cartine, grafici e note. Atlante Geografico Statistico Capacità dello Stato. Parametrazione a 100 riferito agli Stati Europei. Spazio esterno del CESVAM - Istituto del Nastro Azzurro. (info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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![]() La carica sarà rinnovabile per due mandati e sarà compatibile con quella di segretario di partito. La riforma diventerà operativa a partire dal 3 novembre 2019, per permettere al Parlamento di fare le necessarie modifiche legislative, ma non è escluso che il Parlamento stesso decida di indire consultazioni anticipate. Per Erdogan una non-vittoria La riforma costituzionale è passata, ma è difficile definire questa come una vittoria netta per il presidente RecepTayyip Erdoğan e per il suo partito. Il 51,3% di consenso per il sì rasenta la sconfitta, considerando che il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) e il Partito del Movimento nazionalista (Mhp), che insieme sostenevano la riforma, nelle scorse elezioni politiche del novembre 2015 raggiungevano insieme più del 60% dell’elettorato. Inoltre, la campagna elettorale è stata completamente sbilanciata a favore della riforma. I due co-leader del partito filo kurdo Hdp, fervente oppositore della riforma presidenziale, sono ancora in carcere, accusati di favoreggiamento all’attività terroristica del Pkk. Anche il Chp ha avuto forti difficoltà a condurre la sua campagna per il no, mentre il fronte del si ha potuto contare sul controllo totale dei mezzi di informazione e di stampa. Per mesi, televisioni e giornali hanno passato il messaggio del referendum come una riforma che avrebbe portato stabilità nel Paese ed aiutato il governo a sconfiggere la minaccia terroristica. Insomma, Erdoğan e l’Akp avevano il coltello dalla parte del manico, ma non sono comunque riusciti ad aggiudicarsi una schiacciante vittoria. Il no ha vinto nelle grandi città Erdoğan raggiunge la vittoria nel momento in cui il suo popolo gli volta le spalle. Questo è ancora più ovvio se si analizza la distribuzione del voto e in particolare il fatto che il no ha vinto ad Istanbul, dove la carriera politica di Erdoğan era iniziata, e anche ad Ankara e Smirne. Tre città che non solo sono le maggiori metropoli del Paese, ma sono anche ideologicamente tra loro molto diverse: Ankara più conservatrice; Smirne più progressista e storicamente roccaforte del partito kemalista Chp; Istanbul, moderna e cosmopolita. Nonostante il basso margine, Erdoğan prende per buono il risultato del referendum, ma il suo disappunto è evidente nella conferenza durante la quale ha annunciato la “vittoria” della sua riforma. Di certo il referendum ha ulteriormente spaccato il Paese e distrutto la coesione sociale: Erdoğan userà la mano dura per imporre questa vittoria. Brogli e schede contestate Già durante lo spoglio, sono scoppiate le prime polemiche per scorrettezze durante il voto. La decisione della Commissione elettorale di accettare schede non validate, in contrasto con una norma elettorale approvata nel 2010, ha scatenato la reazione dei maggiori partiti di opposizione. Sarebbero circa 1.5 milioni le schede non stampigliate conteggiate nel computo totale: un numero rilevante se consideriamo che la differenza tra il sì e il no è stata di meno di 1,3 milioni di elettori. Le opposizioni contestano l’andamento del voto in almeno il 60% dei seggi. Inoltre, decine di video sui social network testimoniano brogli e pressioni nei seggi. Anche il rapporto preliminare degli osservatori Osce ha confermato che il referendum si è svolto in un contesto politico polarizzato, nel quale le due parti non hanno avuto eguali opportunità durante la campagna. Commentando la decisione della Commissione elettorale turca di validare le schede non timbrate, l’Osce ha affermato che questo ha minato le garanzie contro le frodi. Un futuro incerto La nuova riforma avrebbe dovuto consegnare ai turchi un Paese più stabile (nelle dichiarate intenzioni di chi l’ha proposta). Ma l’obiettivo non è stato di certo raggiunto. Oltre alla già citata polarizzazione e divisione della società con cui il governo dovrà fare i conti, resta un’incredibile incertezza sulle sorti del Paese da oggi al giorno in cui la riforma verrà realmente attuata. Sul piano internazionale, il referendum rischia di minare le già precarie relazioni tra la Turchia e l’Unione europea. Oltre alla decisione dell’Osce di bocciare il risultato elettorale, il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ha già chiesto di interrompere le trattative per l’ingresso di Ankara nell’Ue. Più attendiste le posizioni della Germania e di Bruxelles, che chiedono al governo turco di impegnarsi in un dialogo rispettoso di tutte le parti civili. Preoccupa, inoltre, la decisioni del presidente turco di accennare alla reintroduzione della pena di morte proprio nel discorso in cui ha confermato ai suoi sostenitori i risultati del referendum: se Erdoğan decidesse di proseguire veramente per questa strada, nessuna posizione attendista reggerebbe. Bianca Benvenuti è stata visiting researcher, Istanbul Policy Centre (IPC). Durante il suo periodo di ricerca presso lo IAI, si è occupata di relazioni Ue-Turchia e di crisi migratorie. |
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![]() Se consideriamo che la presenza del Front National al secondo turno è altamente probabile, allora, stando ai sondaggi, possiamo avere tre tipi di ballottaggio: Le Pen/Fillon, Le Pen/Macron, oppure Le Pen/ Mélenchon. Di questi quattro candidati, uno solo, Fillon, è l'espressione di una formazione politica, ‘LesRépublicains’, che si pone in linea di continuità con la destra classica. La sinistra di governo, quella socialista, sembra invece destinata a scomparire per la debolezza del suo candidato Benoit Hamon. Sia il Front National sia ‘En Marche’ (il movimento di Macron, neo-centrista), ma anche ‘La France Insoumise’ (il partito di Mélenchon, sinistra radicale) si presentano come movimenti di rottura con l’establishment dei vecchi partiti. Un rapporto presidenza-governo modificato Questa situazione fa emergere una serie di preoccupazioni: le istituzioni della Quinta Repubblica francese e il sistema maggioritario a doppio turno sono stati creati con l'idea di una scelta fra un campo e l’altro, fra destra e sinistra, che spingesse poi l'elettorato a una scelta simile, a favore del partito del presidente, alle successive legislative. Ora, con varie forze politiche che, nei sondaggi, s’aggirano intorno al 20%, l’effetto alle legislative potrebbe essere bizzarro, con un’Assemblea nazionale divisa in vari gruppi senza che nessuno abbia la maggioranza per formare un governo. Il che dovrebbe condurre a un governo di coalizione, ma anche modificare il rapporto fra il presidente e il governo. Nelle ultime due presidenze, quella di Sarkozy e quella di Hollande, l’accoppiamento fra mandato presidenziale di cinque anni e una legislatura della stessa durata aveva di fatto modificato la prassi istituzionale, con un governo indebolito nei confronti di una presidenza della Repubblica che era il vero fulcro decisionale. Seguendo questa logica, il ruolo del primo ministro è risultato ridotto, con figure assai pallide che somigliavano più a un sottosegretario alla presidenza del Consiglio che a un vero e proprio capo del governo. Lo scenario del 2017 spinge a una presidenza che non potrà avere un sostegno forte e unico in Parlamento. La natura composita della maggioranza parlamentare innescherà, quindi, una più forte autonomia del governo e potrebbe anche facilmente tradursi in una vera e propria coabitazione, se verranno eletti candidati non in grado di costruire una coalizione parlamentare che li sostenga (come la Le Pen, o Mélenchon). Si può dunque prevedere una rivitalizzazione della funzione governativa, in un contesto di forze politiche frammentate in cui il presidente della Repubblica non riesce a dettare una linea a un governo che deve la sua legittimità al voto del Parlamento. Fluidità e complessità del contesto francese Ma questi scenari non esauriscono la fluidità e la complessità dell’attuale situazione francese. Anche se la Le Pen sembra destinata a passare al secondo turno, non si possono nemmeno escludere soprese come una sua eliminazione e il ritorno a un quasi classico duello Fillon/Macron, oppure di un inedito Macron/Mélenchon. Il perché di questa fluidità sta nelle ridotte distanze che emergono dai sondaggi. Tutti e quattro i candidati sono valutati intorno al 20% nelle intenzioni di voto. I margini di errore sono quindi importanti, perché se una formazione che oggi sembra raccogliere il 18% dei consensi dovesse invece raggiungere il 20 o il 21%, dovremmo aspettarci scarti equivalenti in altre formazioni. Sono variazioni piccole, ma che possono cambiare completamente il risultato, modificando la classifica fra i quattro schieramenti. Il grado di imprevedibilità è quindi piuttosto alto. Nell’attuale contesto, il binomio favorito per il passaggio al secondo turno sembra essere quello formato da Marine Le Pen e Emmanuel Macron. Ed anche in questo scenario risulta difficile prevedere con certezza il risultato finale, legato all’astensione e pure ai movimenti dell’elettorato degli altri candidati eliminati. C’è quindi un complesso e assai fluido gioco delle probabilità che lascia intravedere un rischio importante per la stabilità della Francia e quindi dell’Europa. L’elezione alla presidenza della Repubblica francese di solito mette in ordine il Paese per i successivi cinque anni con una maggioranza chiara. Questa volta sembra molto più difficile che ciò avvenga. Ci sarà per forza di cose un assestamento che passerà attraverso un ruolo e un rapporto diverso del Parlamento con il governo, con la costituzione di maggioranze composite o coalizioni, sia nel caso dell’elezione di Marine Le Pen che negli altri casi. Il sistema presidenziale francese ha dimostrato una certa stanchezza con le ultime presidenze, che sono spesso cadute nel degrado morale, e con la percezione di una mancanza di efficienza delle politiche svolte. Al di là del risultato, queste elezioni trasformeranno il sistema e potrebbero avvicinare la Francia alla Germania oppure all’Italia. Potrebbe essere un segnale di blocco, se fosse ad esempio eletta la Le Pen che avesse poi un governo di colore diverso sostenuto dall’Assemblea, oppure di grande rinnovo, con presidenti obbligati a interagire con varie forze politiche e forse in grado poi di replicare questo sistema di alleanze a livello europeo. Comunque vada, sarà una svolta storica. Jean Pierre Darnis è Direttore Programma Sicurezza e Difesa IAI. |