Migranti Accordo Ue-Turchia: rinuncia ai valori europei? Marina Castellaneta 13/04/2016 |
Tra necessità legate a ragioni elettorali nazionali, populismo e una malintesa esigenza di sicurezza e di tutela del benessere in casa propria, il Consiglio europeo del 18 marzo scorso si è chiuso con una dichiarazione/accordo con la Turchia che presenta molte zone d’ombra sulla strada che l’Unione europea (Ue) intende perseguire nel “risolvere” la crisi umanitaria in Siria e il dramma dei migranti.
Dubbi di legittimità
All’indomani dei primi round di trasferimenti avviati, in esecuzione dell’accordo, il 4 aprile dalla Grecia verso la Turchia, e che hanno portato - come scrive la Commissione europea - a una riduzione degli arrivi sulle coste greche dai 1.667 del 20 marzo ai 339 del 3 aprile, è opportuno soffermarsi sui dubbi, sotto il profilo della legittimità e dell’opportunità politica, che l’accordo suscita.
L’intesa è incentrata su tre pilastri: ritorno automatico in Turchia dei migranti che arrivano da quel paese in Grecia; reinsediamento dei profughi siriani in Europa (sulla base del principio un ritorno in Turchia, un reinsediamento in Europa) e concessioni alla Turchia per accelerare l’adesione all’Ue.
Vediamo perché, al di là della probabile ineffettività dell’accordo - che non farà altro che chiudere una rotta e aprirne un’altra - l’intesa segna una sconfitta nell’azione Ue relativa alla politica comune d’immigrazione che è “fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi”.
Prima di tutto, per l’arretramento e forse proprio per l’implosione dei valori fondanti dell’Ue. Poi perché la regola base dell’accordo è un baratto, fondato sul sistema di scambio tra esseri umani, molti dei quali puniti - coloro che dalla Turchia fuggono in Grecia, per inseguire il miraggio di una vita dignitosa - e pochi altri premiati.
Non solo. L’intesa mette in secondo piano, nella sostanza, gli obblighi di diritto internazionale - dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiati del 1951 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo - imposti agli stati e alla stessa Ue.
L’imbarazzante abbraccio con Ankara
Al di là del contenuto, poi, è l’abbraccio con la Turchia a essere in sé imbarazzante, proprio in una fase in cui il presidente Erdoğan è sempre più incline a sopprimere libertà fondamentali sull’altare del proprio potere.
Malgrado ciò, però, l’Ue mette il destino di esseri umani nelle mani di Ankara e acconsente all’accelerazione nella roadmap che porterà all’eliminazione, entro giugno 2016, degli obblighi di visto per i cittadini turchi che intendono entrare nello spazio Schengen.
Un do ut des stigmatizzato anche dal Parlamento europeo che, tra l’altro, è stato tagliato fuori dall’intesa con ulteriori dubbi circa la sua conformità al Trattato sul funzionamento dell’Ue (in particolare all’articolo 218, sulla procedura di conclusione degli accordi internazionali).
Controllo delle frontiere e diritti umani
Per quanto riguarda il primo punto, ossia l’accantonamento dei valori europei che è un colpo di piccone alla già debole identità europea, è evidente che tra “ripresa del controllo” delle frontiere esterne e tutela degli individui in fuga da miseria e guerra, l’Ue sceglie senza esitazioni la prima. E questo, malgrado le parole scritte nel Trattato di Lisbona che ha rafforzato la tutela dei diritti umani.
Alle parole dovrebbero seguire i fatti, con la conseguenza che l’Ue dovrebbe essere in prima linea nel bloccare ritorni di massa e reinsediamenti di poche e selezionate vittime e favorire, piuttosto, corridori umanitari che possano condurre chi cerca scampo da guerra, povertà estrema e persecuzioni, in zone sicure.
Come detto, poi, è proprio l’upgrade di Ankara a destare allarme. In pratica, la Turchia di Erdoğan, che stringe il paese sempre di più in una morsa autoritaria, viene classificata come paese sicuro (malgrado mantenga ancora la riserva geografica all’applicazione della Convenzione di Ginevra), con la conseguenza che la domanda di asilo di un migrante che compie la traversata dalla Turchia alla Grecia dovrà essere dichiarata inammissibile, come si legge nelle conclusioni del 18 marzo, “sulla base del concetto di ‘paese di primo asilo’ o ‘paese terzo sicuro’, in conformità del diritto europeo e internazionale”.
Eppure poche righe dopo, al paragrafo 5, l’Ue “ribadisce che si attende che la Turchia rispetti gli standard più elevati in materia di democrazia, stato di diritto, rispetto delle libertà fondamentali, compresa la libertà di espressione”. Un auspicio che Ankara rafforzi i diritti umani, senza alcuna base fattuale sufficiente, considerando che tutto va nella direzione opposta.
L’allarme dell’Unhcr
Sul fronte degli impegni internazionali, l’intesa ha già suscitato allarme nell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per la quale “i rifugiati hanno bisogno di protezione, non di respingimenti”.
Ed invero, dal 20 marzo 2016, in esecuzione dell’accordo, i migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla Grecia fanno ritorno in Turchia, in un primo tempo, anche sulla base dell’accordo bilaterale di riammissione tra Grecia e Turchia, che sarà sostituito dal 1° giugno 2016 dall’accordo di riammissione Ue-Turchia.
Ora, considerando che era già operativo l’accordo bilaterale, è evidente la connotazione tutta politica dell’intesa, che suona proprio come un premio ad Erdoğan. E se non è preclusa la possibilità di presentare domanda di asilo nelle isole greche di sbarco, è probabile che, in applicazione della ‘direttiva procedure’, scatti il ritorno in Turchia in quanto paese sicuro.
Di qui, poi, il piano di reinsediamento di cittadini siriani presenti nei campi profughi in Turchia sul territorio Ue, fino ad un massimo di 72mila persone nel 2016. Un sistema connotato da automaticità che non convince in base agli obblighi di analisi individuale richiesta dalla Convenzione di Ginevra.
Il ‘baratto’ dei siriani
Sotto il profilo del baratto “un siriano che ritorna in Turchia contro un siriano reinsediato dalla Turchia nell’Ue”, le perplessità sono proprio di ordine etico. Di fatto, l’Ue procede a una classificazione aprioristica dei rifugiati, operando un sistema punitivo per i migranti costretti a rischiare la vita in mare per sfuggire alla guerra.
Che dire, poi, della limitazione contenuta nel piano di reinsediamento per i soli siriani, escludendo in modo discriminatorio gli altri rifugiati che fuggono da altre parti in cui rischiano persecuzioni?
Analoghe osservazioni per il rapporto “uscita migranti dall’Unione europea - nel caso di specie dalla Grecia - e incassi della Turchia”, la quale ultima in tempi rapidi otterrà, oltre ai 3 miliardi di euro già assegnatili, altri 3 “una volta che queste risorse saranno state utilizzate e a condizione che gli impegni siano soddisfatti” e, in ogni caso, entro il 2018. Con l’auspicio, poi, che questi soldi non servano a ultimare la costruzione del muro al confine sud-est con la Siria, che di fatto blocca le persone vittime della guerra nel proprio Paese.
Marina Castellaneta è Professore associato di diritto internazionale presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
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All’indomani dei primi round di trasferimenti avviati, in esecuzione dell’accordo, il 4 aprile dalla Grecia verso la Turchia, e che hanno portato - come scrive la Commissione europea - a una riduzione degli arrivi sulle coste greche dai 1.667 del 20 marzo ai 339 del 3 aprile, è opportuno soffermarsi sui dubbi, sotto il profilo della legittimità e dell’opportunità politica, che l’accordo suscita.
L’intesa è incentrata su tre pilastri: ritorno automatico in Turchia dei migranti che arrivano da quel paese in Grecia; reinsediamento dei profughi siriani in Europa (sulla base del principio un ritorno in Turchia, un reinsediamento in Europa) e concessioni alla Turchia per accelerare l’adesione all’Ue.
Vediamo perché, al di là della probabile ineffettività dell’accordo - che non farà altro che chiudere una rotta e aprirne un’altra - l’intesa segna una sconfitta nell’azione Ue relativa alla politica comune d’immigrazione che è “fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi”.
Prima di tutto, per l’arretramento e forse proprio per l’implosione dei valori fondanti dell’Ue. Poi perché la regola base dell’accordo è un baratto, fondato sul sistema di scambio tra esseri umani, molti dei quali puniti - coloro che dalla Turchia fuggono in Grecia, per inseguire il miraggio di una vita dignitosa - e pochi altri premiati.
Non solo. L’intesa mette in secondo piano, nella sostanza, gli obblighi di diritto internazionale - dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiati del 1951 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo - imposti agli stati e alla stessa Ue.
L’imbarazzante abbraccio con Ankara
Al di là del contenuto, poi, è l’abbraccio con la Turchia a essere in sé imbarazzante, proprio in una fase in cui il presidente Erdoğan è sempre più incline a sopprimere libertà fondamentali sull’altare del proprio potere.
Malgrado ciò, però, l’Ue mette il destino di esseri umani nelle mani di Ankara e acconsente all’accelerazione nella roadmap che porterà all’eliminazione, entro giugno 2016, degli obblighi di visto per i cittadini turchi che intendono entrare nello spazio Schengen.
Un do ut des stigmatizzato anche dal Parlamento europeo che, tra l’altro, è stato tagliato fuori dall’intesa con ulteriori dubbi circa la sua conformità al Trattato sul funzionamento dell’Ue (in particolare all’articolo 218, sulla procedura di conclusione degli accordi internazionali).
Controllo delle frontiere e diritti umani
Per quanto riguarda il primo punto, ossia l’accantonamento dei valori europei che è un colpo di piccone alla già debole identità europea, è evidente che tra “ripresa del controllo” delle frontiere esterne e tutela degli individui in fuga da miseria e guerra, l’Ue sceglie senza esitazioni la prima. E questo, malgrado le parole scritte nel Trattato di Lisbona che ha rafforzato la tutela dei diritti umani.
Alle parole dovrebbero seguire i fatti, con la conseguenza che l’Ue dovrebbe essere in prima linea nel bloccare ritorni di massa e reinsediamenti di poche e selezionate vittime e favorire, piuttosto, corridori umanitari che possano condurre chi cerca scampo da guerra, povertà estrema e persecuzioni, in zone sicure.
Come detto, poi, è proprio l’upgrade di Ankara a destare allarme. In pratica, la Turchia di Erdoğan, che stringe il paese sempre di più in una morsa autoritaria, viene classificata come paese sicuro (malgrado mantenga ancora la riserva geografica all’applicazione della Convenzione di Ginevra), con la conseguenza che la domanda di asilo di un migrante che compie la traversata dalla Turchia alla Grecia dovrà essere dichiarata inammissibile, come si legge nelle conclusioni del 18 marzo, “sulla base del concetto di ‘paese di primo asilo’ o ‘paese terzo sicuro’, in conformità del diritto europeo e internazionale”.
Eppure poche righe dopo, al paragrafo 5, l’Ue “ribadisce che si attende che la Turchia rispetti gli standard più elevati in materia di democrazia, stato di diritto, rispetto delle libertà fondamentali, compresa la libertà di espressione”. Un auspicio che Ankara rafforzi i diritti umani, senza alcuna base fattuale sufficiente, considerando che tutto va nella direzione opposta.
L’allarme dell’Unhcr
Sul fronte degli impegni internazionali, l’intesa ha già suscitato allarme nell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per la quale “i rifugiati hanno bisogno di protezione, non di respingimenti”.
Ed invero, dal 20 marzo 2016, in esecuzione dell’accordo, i migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla Grecia fanno ritorno in Turchia, in un primo tempo, anche sulla base dell’accordo bilaterale di riammissione tra Grecia e Turchia, che sarà sostituito dal 1° giugno 2016 dall’accordo di riammissione Ue-Turchia.
Ora, considerando che era già operativo l’accordo bilaterale, è evidente la connotazione tutta politica dell’intesa, che suona proprio come un premio ad Erdoğan. E se non è preclusa la possibilità di presentare domanda di asilo nelle isole greche di sbarco, è probabile che, in applicazione della ‘direttiva procedure’, scatti il ritorno in Turchia in quanto paese sicuro.
Di qui, poi, il piano di reinsediamento di cittadini siriani presenti nei campi profughi in Turchia sul territorio Ue, fino ad un massimo di 72mila persone nel 2016. Un sistema connotato da automaticità che non convince in base agli obblighi di analisi individuale richiesta dalla Convenzione di Ginevra.
Il ‘baratto’ dei siriani
Sotto il profilo del baratto “un siriano che ritorna in Turchia contro un siriano reinsediato dalla Turchia nell’Ue”, le perplessità sono proprio di ordine etico. Di fatto, l’Ue procede a una classificazione aprioristica dei rifugiati, operando un sistema punitivo per i migranti costretti a rischiare la vita in mare per sfuggire alla guerra.
Che dire, poi, della limitazione contenuta nel piano di reinsediamento per i soli siriani, escludendo in modo discriminatorio gli altri rifugiati che fuggono da altre parti in cui rischiano persecuzioni?
Analoghe osservazioni per il rapporto “uscita migranti dall’Unione europea - nel caso di specie dalla Grecia - e incassi della Turchia”, la quale ultima in tempi rapidi otterrà, oltre ai 3 miliardi di euro già assegnatili, altri 3 “una volta che queste risorse saranno state utilizzate e a condizione che gli impegni siano soddisfatti” e, in ogni caso, entro il 2018. Con l’auspicio, poi, che questi soldi non servano a ultimare la costruzione del muro al confine sud-est con la Siria, che di fatto blocca le persone vittime della guerra nel proprio Paese.
Marina Castellaneta è Professore associato di diritto internazionale presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”.
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