Si è concluso il 29 novembre a Vilnius il terzo vertice del Partenariato Orientale promosso dall’Unione Europea. Nato nel 2008 su proposta polacca e svedese, il Partenariato puntava ad avvicinare a Bruxelles sei Paesi ex-sovietici: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. L’obiettivo dell’iniziativa era quello di incoraggiare un rafforzamento dei legami politici ed economici con i Paesi dell’Europa orientale, creando una zona di libero scambio e promuovendo la tutela dei principi dello Stato di diritto. Al summit nella capitale lituana, tuttavia, soltanto la Georgia e la Moldavia hanno firmato l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea, mentre l’Azerbaigian ha sottoscritto l’accordo di facilitazione per i visti. L’Ucraina ha rinunciato alla firma dell’intesa pochi giorni prima dell’apertura del summit, in seguito alla bocciatura delle proposte di legge per la scarcerazione della leader dell’opp! osizione Yulia Tymoshenko, condizione richiesta da Bruxelles per proseguire i negoziati, preferendo riavvicinarsi a Mosca per motivi di opportunità politica ed economica. Il mancato accordo con Kiev è arrivato dopo il fallimento delle trattative con l’Armenia, che aveva già scelto di avviare il processo di integrazione nell’Unione Eurasiatica proposta dalla Federazione Russa. Con la Bielorussia, invece, la ratifica degli accordi è congelata dal 1997 a causa della situazione interna del Paese, guidato dal regime autoritario del filorusso Aleksandr Lukašenko. Il sostanziale fallimento del summit di Vilnius ha provocato tensioni con Mosca, accusata da Bruxelles di esercitare forti pressioni sulle ex repubbliche sovietiche per allontanarle dall’orbita europea, cooptandole nel suo progetto di integrazione tra Federazione Russa, Bielorussia, Kazakistan e altri Paesi dello spazio post-sovietico.
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1 giorno fa
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