Regno Unito e Ue Londra, biglietto di sola andata Rocco Cangelosi 23/09/2013 |
Un'Europa flessibile, à la carte, dove Londra può scegliere quello che gli è più conveniente Questa l’immagine tracciata dal premier britannico durante il discorso pronunciato a inizio anno quando ha lanciato il referendum sulla partecipazione della Gran Bretagna all'Unione europea da tenersi nel 2017.
Un disegno chiaro e al limite onesto che mostra il tipo di Europa che gli inglesi vorrebbero, libera da eccessivi vincoli istituzionali e incentrata su quel mercato unico, di cui Cameron rivendica la paternità britannica.
Europa elefantiaca
Secondo Cameron, l'Unione europea si è trasformata in un organismo elefantiaco e complesso che ha perso il suo diretto rapporto con i cittadini. Se altri paesi vogliono andare avanti con l'integrazione lo facciano pure, a condizione che Londra mantenga il suo droit de renard e, ove necessario, il diritto di veto su questioni prioritarie che la riguardano.
Secondo Cameron, la Gran Bretagna deve negoziare un nuovo accordo con l'Unione europea che sia nell'interesse "non solo del Regno Unito, ma anche dell'Europa". Spingere i paesi europei a far parte di un'unione politica centralizzata sarebbe un grande errore.
La Gran Bretagna non vi parteciperebbe mai. Sono troppo diverse le tradizioni, la storia e soprattutto le economie dei paesi membri per essere riconducibili in un unico contesto che non sia dotato della necessaria flessibilità.
Conseguenze dell’eurozona
Cameron ha preso atto della trasformazione storica determinata dall'adozione della moneta unica e delle politiche che l'eurozona ha dovuto adottare per difenderla. L'euro è un progetto politico oltre che economico e non può fallire, ma ciò comporta una diversa organizzazione costituzionale dell'Unione.
Una eurozona sempre più integrata dovrà relazionarsi con i paesi che non ne fanno parte. Se i ministri dell'eurogruppo agiranno in modo coordinato all'interno del consiglio dei ministri Ecofin si formerà una maggioranza permanente in grado di imporre agli altri paesi le proprie scelte.
È una posizione inaccettabile per l'Inghilterra, che ritiene finita l'epoca del progetto unico per l'Europa che si era voluto tenere in piedi ricorrendo a aggiustamenti di ingegneria istituzionale, come le cooperazioni rafforzate, gli opt out, le avanguardie etc.
Finalità diverse
Occorre adesso un nuovo accordo politico tra gli stati dell'eurozona e quelli che non ne fanno parte. Non si può negare la chiarezza degli obiettivi perseguiti da Cameron, ma certamente questi non coincidono con le finalità di un'Unione sempre più stretta che dovrebbe comportare un'evoluzione in senso federale.
Su questo aspetto gli obietivi britannici sono totalmente divergenti da quelli dei padri fondatori. Durante i 40 anni di appartenenza all'Unione europea, la Gran Bretagna ha sempre negoziato e ottenuto deroghe nei settori più sensibili che comportavano cessione di sovranità.
È stato così per il trattato di Shengen, per la moneta unica, per la Carta dei diritti fondamentali. I numerosi opt out di cui beneficia Londra producono gravi distorsioni nel funzionamento dell'Unione, assicurando alla Gran Bretagna un vantaggio competitivo, grazie al dumping sociale e economico di cui può avvalersi.
Si dirà che l'apporto della Gran Bretagna è determinante per una politica estera e di difesa comune, ma questa è evanescente e Londra preferisce privilegiare la speciale relazione che intrattiene con gli Stati Uniti. Il recente voto del parlamento inglese sull'intervento in Siria sembra però aver creato qualche incomprensione oltreoceano.
Piede in due scarpe
Visto che per gli inglesi l'Unione non è una finalità a sè stante, ma uno strumento di cui si avvale lo Stato nazionale, sarebbe più saggio negoziare con Londra i termini della sua partecipazione all'Unione europea, come accade ad esempio con la Svizzera, la Norvegia e altri paesi dell'Associazione europea di libero scambio.
Questo comporterebbe la rinuncia britannica a partecipare alle decisioni delle istituzioni. Un prezzo molto alto da pagare. Cameron ne è consapevole. E qui nasce l'ambiguità del suo discorso, perchè il premier reclama regole che consentano a Londra di prendere parte alle decisioni sul mercato unico - soprattutto nei settori chiave come i servizi finanziari - lasciondosi le mani libere per il resto.
Ma sarebbe ancora più alto il prezzo che l'Europa pagherebbe se continuasse a voler mantenere a tutti i costi Londra nell'Unione, negoziando condizioni sempre più al ribasso, suscettibili di vanificare i processi di necessaria cessione di sovranità.
L'Europa non può essere ridotta ad una grande area di libero scambio. Il mercato unico tanto caro agli inglesi non potrà funzionare senza una poltica economica e fiscale comune.
La posizione assunta da Cameron e il dibattito interno che ne seguirà in vista delle elezioni del 2015 e del referendum del 2017 impongono agli altri paesi europei di fare la loro scelta, senza privilegiare situazioni di comodo nascoste dietro l'atteggiamento britannico.
Inaccettabile compromesso al ribasso
Se l'Unione europea vorrà procedere nell'integrazione verso un'organizzazione di tipo federale, non potrà accettare compromessi al ribasso o regole istituzionali ambigue e pasticciate.
Il rapporto con la Gran Bretagna e con i paesi che ne vorranno seguire l'esempio dovrà essere molto chiaro. Aperto alla collaborazione e allo stretto coordinamento nei settori possibili, ma nel rispetto del principio all but institutions.
Questo è principio di cui aveva parlato Jacques Delors, poi ripreso da Romani Prodi, immaginando uno stretto partenariato economico e politico con le nuove democrazie emerse dopo la caduta del muro di Berlino, senza prevederne l'immediato ingresso nell'Unione.
Sarà interessante vedere come si comporteranno gli elettori britannici alla prova del referendum. Già nel ‘55, il rappresentante inglese abbandonò la conferenza di Messina e Londra dovette attendere l'uscita di scena del presidente francese Jacques De Gaulle per diventare membro della comunità economica europea.
Cameron è stato molto chiaro nel precisare che l'uscita dall'Unione è un biglietto di sola andata.
Fortunatamente nel Regno Unito non tutti la pensano allo stesso modo. Il sociologo Anthony Giddens sta mettendo a punto un manifesto per rilanciare il processo di integrazione europea attraverso una modifica dei trattati. L’obiettivo è la creazione degli Stati Uniti di Europa.
Rocco Cangelosi è ambasciatore, già consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica.
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Un disegno chiaro e al limite onesto che mostra il tipo di Europa che gli inglesi vorrebbero, libera da eccessivi vincoli istituzionali e incentrata su quel mercato unico, di cui Cameron rivendica la paternità britannica.
Europa elefantiaca
Secondo Cameron, l'Unione europea si è trasformata in un organismo elefantiaco e complesso che ha perso il suo diretto rapporto con i cittadini. Se altri paesi vogliono andare avanti con l'integrazione lo facciano pure, a condizione che Londra mantenga il suo droit de renard e, ove necessario, il diritto di veto su questioni prioritarie che la riguardano.
Secondo Cameron, la Gran Bretagna deve negoziare un nuovo accordo con l'Unione europea che sia nell'interesse "non solo del Regno Unito, ma anche dell'Europa". Spingere i paesi europei a far parte di un'unione politica centralizzata sarebbe un grande errore.
La Gran Bretagna non vi parteciperebbe mai. Sono troppo diverse le tradizioni, la storia e soprattutto le economie dei paesi membri per essere riconducibili in un unico contesto che non sia dotato della necessaria flessibilità.
Conseguenze dell’eurozona
Cameron ha preso atto della trasformazione storica determinata dall'adozione della moneta unica e delle politiche che l'eurozona ha dovuto adottare per difenderla. L'euro è un progetto politico oltre che economico e non può fallire, ma ciò comporta una diversa organizzazione costituzionale dell'Unione.
Una eurozona sempre più integrata dovrà relazionarsi con i paesi che non ne fanno parte. Se i ministri dell'eurogruppo agiranno in modo coordinato all'interno del consiglio dei ministri Ecofin si formerà una maggioranza permanente in grado di imporre agli altri paesi le proprie scelte.
È una posizione inaccettabile per l'Inghilterra, che ritiene finita l'epoca del progetto unico per l'Europa che si era voluto tenere in piedi ricorrendo a aggiustamenti di ingegneria istituzionale, come le cooperazioni rafforzate, gli opt out, le avanguardie etc.
Finalità diverse
Occorre adesso un nuovo accordo politico tra gli stati dell'eurozona e quelli che non ne fanno parte. Non si può negare la chiarezza degli obiettivi perseguiti da Cameron, ma certamente questi non coincidono con le finalità di un'Unione sempre più stretta che dovrebbe comportare un'evoluzione in senso federale.
Su questo aspetto gli obietivi britannici sono totalmente divergenti da quelli dei padri fondatori. Durante i 40 anni di appartenenza all'Unione europea, la Gran Bretagna ha sempre negoziato e ottenuto deroghe nei settori più sensibili che comportavano cessione di sovranità.
È stato così per il trattato di Shengen, per la moneta unica, per la Carta dei diritti fondamentali. I numerosi opt out di cui beneficia Londra producono gravi distorsioni nel funzionamento dell'Unione, assicurando alla Gran Bretagna un vantaggio competitivo, grazie al dumping sociale e economico di cui può avvalersi.
Si dirà che l'apporto della Gran Bretagna è determinante per una politica estera e di difesa comune, ma questa è evanescente e Londra preferisce privilegiare la speciale relazione che intrattiene con gli Stati Uniti. Il recente voto del parlamento inglese sull'intervento in Siria sembra però aver creato qualche incomprensione oltreoceano.
Piede in due scarpe
Visto che per gli inglesi l'Unione non è una finalità a sè stante, ma uno strumento di cui si avvale lo Stato nazionale, sarebbe più saggio negoziare con Londra i termini della sua partecipazione all'Unione europea, come accade ad esempio con la Svizzera, la Norvegia e altri paesi dell'Associazione europea di libero scambio.
Questo comporterebbe la rinuncia britannica a partecipare alle decisioni delle istituzioni. Un prezzo molto alto da pagare. Cameron ne è consapevole. E qui nasce l'ambiguità del suo discorso, perchè il premier reclama regole che consentano a Londra di prendere parte alle decisioni sul mercato unico - soprattutto nei settori chiave come i servizi finanziari - lasciondosi le mani libere per il resto.
Ma sarebbe ancora più alto il prezzo che l'Europa pagherebbe se continuasse a voler mantenere a tutti i costi Londra nell'Unione, negoziando condizioni sempre più al ribasso, suscettibili di vanificare i processi di necessaria cessione di sovranità.
L'Europa non può essere ridotta ad una grande area di libero scambio. Il mercato unico tanto caro agli inglesi non potrà funzionare senza una poltica economica e fiscale comune.
La posizione assunta da Cameron e il dibattito interno che ne seguirà in vista delle elezioni del 2015 e del referendum del 2017 impongono agli altri paesi europei di fare la loro scelta, senza privilegiare situazioni di comodo nascoste dietro l'atteggiamento britannico.
Inaccettabile compromesso al ribasso
Se l'Unione europea vorrà procedere nell'integrazione verso un'organizzazione di tipo federale, non potrà accettare compromessi al ribasso o regole istituzionali ambigue e pasticciate.
Il rapporto con la Gran Bretagna e con i paesi che ne vorranno seguire l'esempio dovrà essere molto chiaro. Aperto alla collaborazione e allo stretto coordinamento nei settori possibili, ma nel rispetto del principio all but institutions.
Questo è principio di cui aveva parlato Jacques Delors, poi ripreso da Romani Prodi, immaginando uno stretto partenariato economico e politico con le nuove democrazie emerse dopo la caduta del muro di Berlino, senza prevederne l'immediato ingresso nell'Unione.
Sarà interessante vedere come si comporteranno gli elettori britannici alla prova del referendum. Già nel ‘55, il rappresentante inglese abbandonò la conferenza di Messina e Londra dovette attendere l'uscita di scena del presidente francese Jacques De Gaulle per diventare membro della comunità economica europea.
Cameron è stato molto chiaro nel precisare che l'uscita dall'Unione è un biglietto di sola andata.
Fortunatamente nel Regno Unito non tutti la pensano allo stesso modo. Il sociologo Anthony Giddens sta mettendo a punto un manifesto per rilanciare il processo di integrazione europea attraverso una modifica dei trattati. L’obiettivo è la creazione degli Stati Uniti di Europa.
Rocco Cangelosi è ambasciatore, già consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica.
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