Putin è al potere in Russia da oltre ventanni. In questo arco di tempo la sua politica, che qualche analista chiama putinismo ha rappresentato un ibrido strano tra legittimità e repressione. Questo navigare per anni tra la legittimità di vedere in larga massima rispettati i canoni dei valori dei diritti umani e del rispetto della dignità umana anche in Russia lasciava sperare che una intesa con il mondo occidentale si potesse avre. Poi la cirsi Ucraina l'annessione della Crimea, la guerriglia nelle regioni del Donbass a portato la Russia su posizioni sempre più radicalizzanti. Improvvisamente in questi ultimi mesi Putin ha svoltato decisamente verso la repressione. La crisi in Bilerussia potrebbe aver convinto Putin che un pò di repressione subito avrebbe evitato il ricorso a molta repressione in seguito. Vediamo quindi uno spostamento verso la repressione. Ora stiamo assistendo ad una modulazione della repressione a seconda delle paure che si nutrono al Cremlino.Le elezioni di settembre saranno un banco di prova, come quelle a à più lungo raggio del 2024 in cui verrà messo in discussione il suo ruolo di presidente. . L'apparato di sicurezza della Russia oggi è concorde nell'aver imboccato questa strada della repressione. Nicolai Patrusev, segretario del Consiglio di Sciurezza, Alessandro Bortnokov direttore della FSB, Aleksandr Bastrykin capo del Comitato investigativo e Viktor Zolotov, comandante della Guardia Nazionale sono tutti sulla stessa linea nel ritenere che è tempo di porre da parte la legittimità e attivare ogni forma di repressione nei confronti di una opposizione finchè si è in tempo, onde evitare di scivolare lentamente verso situazioni che poi possono sfuggire di mano. Tutto questo ha portato alla fine del autoritarismo post moderno ed ha messo Putin come dice Mark Galeotti, un analista britannico esperto di Russia, Putinsu un trono di baionette e manganelli trono che per il momento non potrà lasciare.
Cfr. L'Internazionale, 13 maggio 2021, n. 1408 anno 28
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