Sergio Benedetto Sabetta
La caduta dell’Unione Sovietica ha fatto credere di avere vinto
definitivamente la Guerra Fredda, risolvendo tutto in termini economici gli USA
non hanno pianificato alcuna strategia se non quali poliziotti globali,
spettacolarizzando i conflitti secondo una narrazione distaccata dalla realtà,
così che la guerra diventa fine a se stessa, slegata da precisi disegni
politici, fondata su elementi esclusivamente tecnologici e di comunicazione (
G. De Ruvo, La guerra post – moderna e il principio d’irrealtà, 57 – 68 in “
Fine della guerra” Limes 4/2024).
Una serie di
insuccessi e la crisi economica ha portato gli USA a ritirarsi da varie aree
del globo, a concentrarsi sul settore più sensibile, il Pacifico, valorizzando
la propria potenza navale in antitesi alla potenza di terra, un vuoto che altre
potenze regionali cercano di riempire affiancando il conflitto USA – Cina.
In questo
processo si è ridefinita la funzione della NATO, utilizzata dalla fine della
Guerra Fredda in modo improprio con interventi fuori area a sostegno degli
USA, sebbene nata con fini distensivi.
Il conflitto
in Ucraina ha evidenziato tutte queste problematiche rimaste sotto traccia,
come la volontà della Russia di riaffermare una propria area di influenza
necessaria a mantenere una coesione interna, essendo nata come impero su vasti
territori e differenti storie etniche, in contrapposizione all’allargamento
della NATO e dell’UE.
La necessità
dell’UE di difendersi autonomamente mette in evidenza i suoi limiti e tempi
necessari, nonostante i proclami fondati su una spesa del 2% del PIL da
raggiungere in tempi brevi, che per l’Italia dovrebbe essere di circa 36-38
miliardi di euro all’anno, anche se per gli USA l’Europa dovrebbe spendere fino
al 5% del PIL.
Dobbiamo
considerare che la Cina nel 2021 è arrivata al 7,1% del PIL, pari a 243
miliardi di dollari, posizionandosi per il decennio 2010-2020 al terzo posto con
381,6 miliardi di dollari, dopo gli USA con 2.880 miliardi di dollari e il
Regno Unito con 481,5 miliardi di dollari, ma davanti alla Russia con 356,8
miliardi e alla Francia con 277,3 miliardi (Dati Sipri-Stockholm International
Peace Research Institute).
Vi è la
necessità di un ordine, in quanto il caos è peggiore dell’autoritarismo, tanto
è vero che il disordine richiama la volontà di un qualche ordine che dia
sicurezza, come ricorda Kaplan, ma l’arroganza di una classe dirigente senza
una visione strategica coerente e una popolazione messa in un eterno presente
senza storia, crea le premesse del disastro (F. Petroni, La perduta sensibilità
tragica dell’America, 81-91, in “Fine della guerra”, Limes 4/2024).
Vi è una
difficoltà nell’individuare nel Nuovo Ordine gli obiettivi finali della nuova
amministrazione USA, risulta peraltro chiaro il rientro di attività strategiche
quali la cantieristica, decentrata in Asia e la spinta di un maggiore impegno
finanziario dei paesi UE in materia miliare, tenendo presente che vi sarebbe
peraltro un notevole ritorno economico in commesse militari per l’industria
USA, favorendo al contempo il rientro dal notevole debito accumulato in questi
decenni.
In questo
incrocio tra il riequilibrio strategico e quello economico attraverso dure trattative sui dazi, considerando
che gli USA sono i consumatori finali più grandi, l’UE ha la necessità di
trovare nuovi accordi commerciali e al contempo finanziare il riarmo,
scorporando le spese per la difesa dal Patto di stabilità e crescita quale
debito oppure tagliando altre spese o alzando le tasse.
Parlando di
difesa europea occorre preliminarmente distinguere tra “esercito europeo” e
“difesa europea”, nel primo caso occorrono le stesse armi, un comando unificato
e un indirizzo politico comune, ossia un unico soggetto politico, cosa non
attuale per l’UE, nel secondo caso vi è un semplice coordinamento.
Oltre
all’aumento della spesa vi è il problema tecnico dei diversi modelli di
armamento che si riflette sia sulla spesa che sulla logistica, oltre al divario
tecnologico con gli USA, a cui si affianca la capacità produttiva che potrebbe
essere colmata in un lasso temporale dai tre ai cinque anni se non oltre, si
parla per l’Italia tra i cinque e i quindici anni.
Attualmente
le spese europee per la difesa dovrebbero andare per il 50% alla acquisto di
forniture dagli USA, con piccole quote a Israele e Corea del Sud, anche l’idea
di schierare truppe in Ucraina è irrealistica mancando un sistema satellitare
adeguato oltre ad una capacità logistica sufficiente per supportare un elevato
numero di soldati che dovrebbero avere peraltro adeguati turni di rotazione (G.
Cossiga – Presidente Aiad, Difesa comune, non servono solo i fondi, 4-5, Il
Secolo XIX, 4 marzo 2025).
A questo si
affianca un problema culturale dovuto al lungo periodo di pace e alle
narrazioni a – storiche che sono state diffuse, lontane da una visione
politico-strategica ed economica, in particolare per l’Italia in cui vi è stato
un indebolimento del concetto di Stato e della narrazione Risorgimentale ( A.
Schiavone, Italiani senza Italia. Storia e identità, Einaudi 1998).
“Per ottenere i materiali e i sistemi d’arma
che ci occorrono, ci vorranno invece dai cinque ai quindici anni. Cambiare la
mentalità di un sistema e la cultura politico-strategica del nostro paese, infine,
sarà un processo ancora più lungo, complesso e incerto, a meno che non si
verifichi un grosso shock. Specialmente
per noi italiani, tra i quali è già affiorata la tentazione di trasferire al
più presto la delega a proteggerci dagli Stati Uniti, che non vogliono più
assumersi questa responsabilità, a un’Europa nella quale sarà difficile trovare
interlocutori più sensibili di noi alla salvaguardia dei nostri interessi
nazionali” (G. Dottori, L’Italia riarma lentamente, 183-189, in “Una certa idea
di Italia”, Limes 2/2024).
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